Quando gli americani scelgono un presidente, determinano una parte così importante della nostra vita che anche a noi alleati dovrebbe essere concessa una qualche forma di voto. Per esempio europei, giapponesi, coreani e australiani in un unico collegio elettorale capace di esprimere almeno un grande elettore: meno del Vermont che ha 600mila abitanti e tre voti elettorali.
E’ dunque comprensibile che per tutti coloro che credono ancora nell’importanza del ruolo americano nel mondo, il dibattito della settimana scorsa fra Joe Biden e Donald Trump abbia suscitato preoccupazione. Diventata giorno dopo giorno un’ansia permanente, con l’ostinazione del presidente democratico di continuare la lotta.
“Solo il Signore Onnipotente” lo convincerebbe a rinunciare alla corsa elettorale, ha detto Biden l’altra notte, in un’intervista alla rete Abc. Una testardaggine che un geriatra saprebbe facilmente spiegare e moderare ma che nel mondo della politica equivale a un suicidio.
Tuttavia, a far paura agli alleati degli Stati Uniti non è solo il rapido invecchiamento di Joe Biden, evidente molto prima del dibattito televisivo: il 6 giugno in Normandia in certi momenti il presidente si confondeva con i reduci dello sbarco. La vera grande preoccupazione sono state le due alternative offerte davanti alle telecamere della Cnn: un uomo incapace di affrontare una campagna elettorale; oppure un arrogante mentitore seriale, condannato dal tribunale ma protetto dalla Corte Suprema a larga maggioranza repubblicana.
Il primo troppo anziano e inadeguato ad affrontare le pressioni di altri quattro anni di presidenza; il secondo, quasi della stessa età, incapace di possedere il necessario equilibrio che una superpotenza deve avere nelle crisi che affronta. Quella iniziata otto anni fa fu una presidenza caotica perché Donald Trump non pensava di vincere. Questa volta sarà circondato da collaboratori preparati che trasformeranno i suoi istinti in politiche.
E’ questa la scelta che gli Stati Uniti offrono in un momento di grandi sfide per la stabilità del mondo. Due guerre da fermare, altre più devastanti da impedire; un sistema di scambi commerciali da riscrivere e una proliferazione nucleare non più controllata dalla diplomazia; la Russia e la Cina, ma anche i nuovi soggetti emergenti con le loro agende politiche, militari ed economiche che svelano ambizioni represse dalla Guerra Fredda.
Per l’età dei due candidati, l’America di oggi ricorda la gerontocrazia sovietica. Prima Leonid Breznev, segretario del partito per 18 anni, poi Yurij Andropov e infine Konstantin Cernenko. Quando arrivò il cinquantaquattrenne Michail Gorbaciov era ormai troppo tardi per salvare l’Urss.
“L’impressione che gli stranieri hanno dell’America è largamente condizionata dalla percezione che hanno dei suoi presidenti”, spiega Bruce Stokes del German Marshal Fund. “Al pubblico europeo piaceva Bill Clinton, provava antipatia per George W. Bush, amava Barak Obama e detestava Trump”. Oggi tutti i sondaggi – quelli di Freedom House, Economist Intelligent Unit, Pew, Eurasia Group, dipartimento di Stato e altri – fatti nei paesi amici e in quelli che non sono alleati ma neanche nemici, danno gli stessi risultati: il mondo ha perso la fiducia nell’America. Era alta nel 2000; era crollata nel 2008 dopo invasione dell’Iraq e la crisi finanziaria; è risalita durante la presidenza Obama e crollata di nuovo in quella di Trump.
“Saremo una città in cima a una collina” aveva detto nel 1630 il puritano John Winthrop nel suo sermone agli abitanti della Massachusetts Bay Company. La città perfetta rappresentava il Nuovo Mondo in alternativa al vecchio (allora solo l’Europa) con le sue guerre di religione senza fine. Questa immagine figurata sarebbe diventata la sintesi delle ambizioni politiche e morali americane, seguita dal “destino manifesto”, l’ “eccezionalismo americano”, la “nazione indispensabile”.
Se non proprio un altro secolo americano come il precedente, il XXI sarà ancora dominato dagli Stati Uniti. Ma che potenza sarà? Quanto sarà capace di affrontare con equilibrio le sfide, mantenendo saldi i valori della decenza? Dopo aver assistito al disastroso dibattito elettorale, il ministro degli Esteri polacco Radoslaw Sikorski ha paragonato Joe Biden a Marco Aurelio che avviò il declino dell’impero romano, “incasinando la sua successione”.