Dal Sudan al Myanmar si sta combattendo in molti luoghi dimenticati. Ma più delle altre guerre, Ucraina e Gaza presentano il pericolo di un allargamento regionale dalle ramificazioni globali: la minaccia di contagio è in realtà già visibile in entrambi i fronti, sia in Europa che in Medio Oriente.
La questione del revanscismo imperiale russo e quella del confronto tra israeliani e palestinesi, cause delle due guerre, non hanno legami e poche similitudini. Due anni e mezzo di combattimenti in Ucraina e nove mesi a Gaza stanno dimostrando che le due guerre non possono essere risolte solo con mezzi militari. Ma diverse sono sia le caratteristiche che le opportunità di soluzione.
La prima importante differenza è che sul campo di battaglia ucraini e russi si equivalgono, israeliani e palestinesi no. Vladimir Putin sa che le sue truppe non arriveranno mai a Kyiv e Volodymyr Zelensky che difficilmente riuscirà a liberare la Crimea e parte delle province orientali ucraine. Le basi per un compromesso sono solide ed evidenti sin quasi dall’inizio della guerra. Si devono creare le condizioni politiche perché le parti accettino quello che ogni pace comporta: il compromesso, la dolorosa rinuncia a una parte delle ambizioni nazionali in cambio di un accomodamento.
Una volta conseguita, la pace è quasi sempre assenza della guerra, non del conflitto. E’ una sobria constatazione della realtà che richiede tempo, di solito una generazione, per mostrare i suoi effetti positivi. Prima o poi Zelensky dovrà accontentarsi di confini diversi e Putin accettare l’ingresso dell’Ucraina nella Nato e nella Ue. Il primo sa che il sostegno militare occidentale ha già mostrato qualche crepa e molti segni di stanchezza; il secondo ha cloroformizzato la società russa, ha il pieno controllo del sistema ma la guerra sta consumando il futuro economico del paese.
Il conflitto tra israeliani e palestinesi è completamente diverso. Israele è uno stato. E’ di gran lunga più potente sul piano politico, militare, diplomatico, economico, tecnologico. Ed è anche la parte che per la soluzione di questo conflitto dovrebbe fare le concessioni più sostanziali: la restituzione dei territori occupati. Il governo che volesse riprendere la trattativa per uno stato palestinese, faticherebbe a spiegare all’elettorato israeliano le ragioni di tanta generosità.
La pace del 1978 con l’Egitto aveva comportato la restituzione dell’intera penisola del Sinai. Ma era un trattato fra stati. I palestinesi non hanno uno stato: rappresentano una debole autonomia e alcune organizzazioni la cui ragion d’essere è la distruzione d’Israele. E la terra che dovrebbe essere al centro di una trattativa di pace, è rivendicata tanto dalla narrativa nazionale ebraica quanto dalla palestinese. Fu questa la causa principale del fallimento del processo negoziale di Oslo, alla fine degli anni ’90.
Tuttavia le due guerre hanno un elemento che le accomuna in modo decisivo: le elezioni presidenziali americane di martedì 5 novembre. Sono molte le questioni che avranno differenti percorsi se vincerà Joe Biden o Donald Trump: il futuro del commercio mondiale, della Nato e del sistema di alleanze Usa nel mondo; la qualità della democrazia americana che si riverbererà su quelle europee, e molto altro. Fra queste la durata dei conflitti in Ucraina e Gaza e quale potrebbe esserne la soluzione.
E’ difficile che Vladimir Putin e Benjamin Netanyahu siano interessati a concludere le loro guerre fino a che non si conoscerà il nome del prossimo presidente americano, il 47°. Entrambi sono convinti che Donald Trump permetterà loro di continuare fino alla vittoria i loro conflitti. Probabilmente non hanno torto.