La guerra di Bibi

Bibi – My Story”, una fiera delle vanità lunga 657 pagine compresi i ringraziamenti, è l’autobiografia che Benjamin Netanyahu pubblicò nel novembre 2022. Un libro inutile perché è a partire dagli eventi del mese successivo, l’inaugurazione del governo più estremista d’Israele, che il premier israeliano sarà ricordato e giudicato dalla Storia. Soprattutto per come sta conducendo il conflitto a Gaza: col passare dei mesi è sempre più la guerra di Netanyahu.

Appena scoppiata, Bibi aveva creato un gabinetto di guerra, un organismo consultivo ristretto a sei membri, compresi i leader dell’opposizione che non casualmente nella storia del paese, erano stati anche capi di stato maggiore delle forze armate. Ma è sempre stato lui a decidere se, andandosene insieme a Gadi Eisenkot, Benni Gantz aveva accusato Bibi di aver sempre impedito “di avvicinarci a una vera vittoria”.

La dissoluzione del gabinetto di guerra, formalizzata da Netanyahu, è un atto dovuto dopo l’uscita dei due ex generali. Oltre al pletorico governo con 37 ministri, in un paese di nove milioni e mezzo di abitanti, ora torna ad essere importante il “Gabinetto di sicurezza”.

E’ composto da 14 membri. C’è Aryeh Deri, leader degli ultra-ortodosi sefarditi, condannato per corruzione ed evasione fiscale: è a piede libero solo perché aveva promesso che non avrebbe più ricoperto cariche pubbliche. E ci sono i ministri Itamar Ben-Gvir e Bezalel Smotrich, capi del suprematismo ebraico.

I militari hanno voluto precisare che “non cambia la catena di comando”. In realtà non è così e Netanyahu lo ha chiarito prima di smantellare il gabinetto di guerra, in un episodio che per la tenuta del paese, i suoi equilibri e la sua democrazia, è molto più serio della dissoluzione del gabinetto di guerra.

Lo stato maggiore aveva stabilito una “pausa tattica nell’attività militare” a Gaza. Alcune ore di quiete al giorno per permettere di fare entrare in sicurezza gli aiuti umanitari alla popolazione sempre più affamata della striscia. Su istigazione di Ben-Gvir, Netanyahu ha negato la “pausa tattica”. Credendo di essere il Pericle israeliano che non è, il premier ha ricordato che “Non esiste un esercito con uno stato ma uno stato con un esercito”. Comanda lui. In questo paese, in realtà, i generali sono quasi sempre più pragmatici e rispettosi delle istituzioni di quanto non siano i politici. Soprattutto questi.

La pausa tattica non prevedeva la fine dei combattimenti. Voleva probabilmente essere una risposta alle accuse di crimini di guerra, di genocidio e all’isolamento internazionale del paese. Questioni che agli alleati di Netanyahu non interessano. I pochi aiuti umanitari transitati da Israele erano regolarmente attaccati dagli estremisti di Ben-Gvir.

E’ questa la guerra di Netanyahu, combattuta per la sua sopravvivenza politica. In un quindicennio di potere si è alleato con quasi tutti i partiti del paese, tradendoli uno dopo l’altro. Alla fine gli è rimasta la peggiore delle coalizioni possibili, inimmaginabile prima che Bibi la rendesse reale. E lui l’ha formata, coccolandone le presunzioni. Ben Gvir e Smotrich non vogliono un futuro politico per Gaza, e lui non lo progetta. I sefarditi di Shas e gli aschenaziti di Torah Unita hanno dello stato un’idea parassitaria, e Bibi si adegua.

La maggioranza sta perfezionando la legge che esenta dal servizio militare gli ultra-religiosi. Da che sono iniziate le operazioni terrestri, quasi 400 giovani israeliani sono morti al fronte. Gli ultra-religiosi invece studiano la Torah. E quando non li uccide un bombardamento, i bambini di Gaza fanno la fame.

  • carl |

    Di BB nulla di dire, se non che da fin troppo tempo gli viene dato anche fin troppo spazio mediatico.
    Mi focalizzo sul termine “tattico” che, dopo quello “asimmetrico”, va per la maggiore.. Dopo il nucleare tattico ora anche le pause o tregue diventano tattiche (mentre un armistizio può divenire anche “plurideccennale”, almeno al 38° parallelo..)
    Nella mia condizione di cittadino medio, mi sono chiesto quale sia logistica adottata per le forniture di armi allo Stato ebraico. E mi sono autorisposto che probabilmente avvengono per lo più via mare, mentre quelle all’Ucraina per via ferroviaria e autostradale..Poi mi sono anche detto che, a ben pensarci, si tratta di informazioni che in Francia definirebbero “secret defense” e nel mondo anglosassone come “classified”.. E non è difficile immaginare perchè.
    Infine una lieve battuta. Nell’apprendere l’esistenza di un partito definito Torah Unita, mi son detto che a degli arabi palestinesi potrebbe venire in mente di imitarlo fondandone uno denominato Sharia Unita.. Ma lungi da me il voler prendermi gioco sia degli uni che degli altri.
    A dire il vero anche l’esternazione: “Non esiste un esercito con uno Stato, ma uno Stato con un esercito” meriterebbe almeno un commento (e anche più di uno..) ma sarà per un’altra volta.

  • habsb |

    Nessuno puo’ credere che le decisioni di Netanyahu non siano telefonate da Washington.

    E’ Washington che manda a Tel Aviv i miliardi le armi e gli uomini di cui ha bisogno per ridurre all’impotenza i rivoltosi di Gaza. E’ Washington che parla quando Netanyahu dichiara che non c’è e non ci potrà mai essere uno stato palestinese. E’ Washington, sempre più isolata, che blocca con il suo veto tutte le iniziative ONU per aiutare il popolo palestinese.

    Non è quindi la guerra di Bibi, ma la guerra di Washington, una delle tante. Forse una di troppo per il vecchio Biden, che nei sondaggi sta perdendo in massa consensi fra i numerosi musulmani e neri americani.

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