“Una specie di confraternita, della quale nessuno vuole essere il leader perché nessuno vuole averne uno”. E’ la risposta che il ministro degli Esteri indiano Subrahmanyam Jaishankar diede qualche mese fa, quando gli chiesi una definizione del Global South. In effetti è difficile essere più precisi su un ipotetico fronte che parte dal Brasile, attraversa una buona parte dell’Africa, del Golfo Persico, dell’Asia meridionale fino al Pacifico.
Ne fanno parte paesi fra i più ricchi e scarsamente popolati ed economie a medio-basso reddito dalla demografia esplosiva. Non c’è un fronte né un’ideologia che li unisca. Nemmeno i Brics al quale molti aderiscono, ne chiarisce la posizione: la gran parte di loro ha obiettivi diversi da Russia e Cina, promotori dei Brics. Molti hanno stretti rapporti con gli Stati Uniti. Come l’Egitto che è il principale beneficiario dell’aiuto militare americano dopo Ucraina e Israele.
In generale il Sud globale vuole riformare, non sostituire il sistema internazionale. “Le regole disegnate nel 1945 sono obsolete”, dice l’ex presidente boliviano Quiroga Jorge. “Non mi va più bene che il presidente della Banca Mondiale sia americano ed europeo quello del Fondo Monetario Internazionale”.
Scrivendo dei paesi emergenti sulla rivista Foreign Affairs, il cancelliere tedesco Olaf Scholz aveva affermato che “il mondo è di fronte a uno Zeitenwende, un mutamento tettonico epocale”. Il G20 presieduto l’anno scorso dall’India non aveva offerto grandi risultati. Tuttavia ha dovuto riconoscere che oggi il mondo è diviso in tre grandi sovrastrutture geopolitiche: il G7, cioè l’Occidente; l’alleanza d’interessi di Cina e Russia; e il Global South.
Quando fu convocata la Conferenza di Berlino del 1884, l’80% dell’Africa era libero. Trent’anni più tardi il 90 sarebbe stato conquistato da sette potenze coloniali europee, fra cui l’Italia. Sashi Tharoor, braccio destro all’Onu di Kofi Annan e ora deputato del Congress, ricorda che all’inizio del XVIII secolo l’India garantiva il 23% dell’economia mondiale. Nel 1947, quando il Regno Unito se ne andò, il 3.
E’ dunque storicamente ovvio che il primo elemento unificatore del Global South dovesse essere la critica all’Occidente, il vecchio colonizzatore. Questo aiuta anche a spiegare le 35 astensioni nei due voti all’Assemblea generale Onu sulla condanna dell’aggressione russa all’Ucraina: 17 di questi (più due contrari) erano africani.
Un’occasione per capire cosa il Global South pensi di noi è stato il “Raisina Dialogue”, l’annuale conferenza internazionale organizzata a Nuova Delhi dal think-tank indiano Observer Research Foundation. Non sono stati invitati cinesi né russi ma “solo” occidentali e Sud del mondo, in questo caso guidato dagli indiani.
La definizione di Jaishankar era infatti parzialmente veritiera: anche se nei tempi lunghi della sua tradizione, l’India ambisce ad essere il leader del Global South. Il primo passo è la sua battaglia per la quasi impossibile riforma del Consiglio di sicurezza Onu: l’India vuole diventarne un membro permanente.
“La riforma è strettamente connessa con la decolonizzazione”, insiste Jaishankar. “Il Consiglio attuale non è che un riflesso dell’era coloniale”. Al Global South non sfugge che Cina e Russia, membri permanenti quanto Usa, Francia e Gran Bretagna, abbiano comportamenti e animo da colonialisti quanto gli occidentali.
A volte il dialogo fra Occidente e Global South si trasforma in un processo dei secondi ai primi. E’ accaduto anche al “Raisina”. “Il vero nome di ciò che stiamo vedendo in Ucraina è colonialismo”, ha cercato di spiegare Margus Tsahkna, il ministro degli Esteri estone. “La Russia vuole avere indietro le sue vecchie colonie”. Ma i nostri interlocutori, i paesi che in un futuro molto prossimo avranno un peso crescente, faticano a comprendere la ferma opposizione all’invasione ucraina e, contemporaneamente, la tolleranza per i bombardamenti israeliani su Gaza.
“Vediamo molta ipocrisia nel modo in cui ci si comporta sulle questioni internazionali”, risponde al ministro estone il collega della Tanzania, January Makamba. “Questo doppio standard ci preoccupa”. A sostegno dell’obiezione c’è un’opinione pubblica globale mai vista prima per numeri e pressione.
Il Global South continua tuttavia a non essere un fronte né un’alleanza: prevale sempre l’interesse nazionale. Se in Brasile il presidente Lula accusa Israele di fare ai palestinesi ciò che Hitler fece agli ebrei, in India sono molto più cauti. Secondo Jaishankar, “Diversamente dal Global South il governo indiano ha scelto di mantenere al minimo i commenti sulla questione e, conseguentemente, di non intervenire alla Corte dell’Aja”, e sulle accuse di genocidio. La moderazione indiana è legata alla comune ostilità dei due governi per i musulmani; e ancor più ai loro proficui scambi economici.
Il mondo è estremamente più complicato di quanto non fosse durante la Guerra fredda e nella breve stagione unipolare americana. Un tempo pace o guerra erano condizioni chiare e differenti. Ora esiste una zona grigia nella quale agiscono intelligenza artificiale, falsificazione della realtà, droni, i cosi detti “non state actors” come le milizie. Le nuove tecnologie stanno cambiando il concetto di conflitto, annebbiando la distinzione fra ibrido e tradizionale; armi nucleari a basso potenziale e ordigni convenzionali più potenti di queste, inducono alla tentazione di violare il tabù atomico che tiene da quasi 80 anni.
Come spiega il generale Anil Chauhan, Capo di stato maggiore delle forze armate indiane, “Un tempo si studiavano tre o quattro opzioni su come combattere una guerra. Ora, nella zona grigia, le opzioni diventano otto, 15, 20”.
Per quanto i suoi contorni siano ancora vaghi, la crescente affermazione del Global South rende la geopolitica più democratica. Ma multipolarità non è un sinonimo di stabilità. Alcuni temi come pandemie e mutamenti climatici, possono unire. Molti altri no, rischiando di moltiplicare ambizioni politiche ed economiche, locali e regionali.
“Per noi il Sud crescente è una grande opportunità d’investimento”, sostiene Anwar Gargash, l’equivalente per gli Emirati del consigliere per la sicurezza nazionale americano. “Ma temiamo che questo nuovo sistema globale presenti delle crepe: c’è una diminuzione nella capacità di regolare le questioni della sicurezza e dell’economia. Esistono dunque benefici e problemi: la nostra regione, il Medio Oriente, ne è una prova evidente”.