Il pane e le bombe

Per trovare qualcosa di simile bisogna tornare alle foto in bianco e nero di Arromanches, Normandia. A metà strada fra Omaha e Sword Beach, è dove gli Alleati costruirono un porto galleggiante per alimentare con uomini e mezzi la testa di ponte dello sbarco del 6 giugno 1944. Nel porto che gli americani ora vogliono costruire davanti a Gaza, il verbo sfamare definisce meglio l’obiettivo della missione.

Il Genio è salpato dalla base di Norfolk, Virginia. Quando arriverà nel Levante mediterraneo e un migliaio di militari avranno assemblato le piattaforme galleggianti, gli Stati Uniti garantiranno tre milioni di pasti al giorno ai 2,3 milioni di palestinesi di Gaza. Fra i bambini la malnutrizione sta incominciando a fare più vittime dei bombardamenti israeliani.

I paracadute dal cielo e i camion via terra hanno dimostrato di essere inefficaci. La via più sicura dovrebbe essere il porto galleggiante. Resta da chiarire chi trasferirà i pasti a terra, come e dove, nel caos di Gaza. Chi li distribuirà una volta arrivati? Gli americani non intendono mettere piede nella striscia e gli israeliani non sono disposti a svolgere ruoli diversi da quelli militari. Forse a garantire l’ordine nella distribuzione saranno i clan familiari palestinesi che sono sempre esistiti nella striscia: prima, durante e certamente anche dopo Hamas.

La missione umanitaria ordinata da Joe Biden è iniziata senza che ne venisse interrotta un’altra, in un certo senso molto più prosaica. In questi cinque mesi di conflitto gli americani hanno garantito a Israele 28mila tonnellate di munizioni, equipaggiamento militare, mezzi blindati e materiale sanitario. Le cifre sono del quotidiano israeliano Ha’aretz. Prima le bombe poi il cibo, i destinatari sono sempre gli stessi: i civili di Gaza.

Bombardare costa più che sfamare: fra 1.500 e 3.500 dollari un proiettile da 155mm; quello da 120 dei carri Merkava, circa 7.500; le bombe intelligenti che sgancia l’aviazione vanno dai 21.000 in su.

Ancora Ha’aretz calcola che la guerra stia costando a Israele due miliardi di dollari. Ma solo in munizioni: poi c’è il carburante per far muovere i carri armati e volare i bombardieri; il costo di Iron Dome, i missili anti-missili lanciati da Hamas; gli stipendi ai 350mila riservisti richiamati al fronte. E c’è il costo indiretto della guerra: secondo l’autorità governativa per l’innovazione, metà delle startup d’Israele – la base del suo successo tecnologico – resteranno senza finanziamenti entro sei mesi.

Si sbaglia”, aveva protestato Bibi Netanyahu quando era stato accusato da Joe Biden di “danneggiare Israele” continuando la guerra senza prevedere una via d’uscita politica: era lui, Bibi – sosteneva Bibi – il salvatore d’Israele. Aveva ragione il presidente americano: con i suoi comportamenti Netanyahu sta rovinando le relazioni con l’alleato essenziale. E senza gli Usa, Israele non avrebbe potuto fare la guerra né potrebbe continuarla.

Il bilancio israeliano per la Difesa è di quasi 18 miliardi di dollari, metà dei quali spesi in stipendi e pensioni. L’aiuto militare americano è di 3,8 miliardi l’anno, più i 14 che si aggiungeranno quando il Congresso di Washington approverà il pacchetto che prevede anche finanziamenti per Ucraina e Taiwan.

Se l’aiuto militare si fermasse, Israele non avrebbe i mezzi economici né militari per combattere per tutto il tempo che Netanyahu ha deciso di prendersi. Ma Biden non lo farà: continuerà a dare bombe agli israeliani e pasti da coccodrillo ai civili di Gaza.

 

 

  • Anna Bozzo |

    Ben ritrovato Tramballi ! Grazie per il tuo post

  • carl |

    In questi mesi negli ambiti urbani della striscia di Gaza (sopratutto negli ospedali) gli unici aiuti sono venuti da MSF e dai Paesi arabi fondatori di questo o quell’ospedale. A suo tempo lessi anche la notizia dell’arrivo di una nave ospedale francese alla fonda vicino a Gaza, alla quale più tardi si è aggiunta una nave ospedale italiana. Assai poco, ma che sicuramente avrebbe potuto essere molto di più se già allora ci fosse stata l’attuale iniziativa USA che non sarà purtroppo nè pronta, nè funzionante domani… Inoltre, come giustamente nota l’articolo, il problema di una capillare distribuzione a circa 2 milioni di persone che, ovviamente non possono fare una sola fila e in un solo posto della costa/spiaggia, non sono bazzecole, bensì una sfida di logistica estremamente “challenging”, specie con delle ostilità ancora in corso.. Mentre, con l’arresto delle ostilità, Croce e Mezzaluna Rosse, MSF ed magari anche i “clan famigliari” citati nell’articolo, potrebbero rendere possibile una distribuzione sufficientemente capillare.
    Ma anche queste mie sono soltanto parole che altri potrebbero invece realizzare e/o consentirne l’attuazione. E, nell’attesa della sentenza dei posteri, poco è finora cambiato sia a Gaza che altrove.

  • habsb |

    Biden si sta giocando la rielezione con il suo allineamento senza se e senza ma con Israele (dai miliardi distribuiti in armi, al veto su ogni risoluzione ONU che chiede lo stop ai bombardamenti e ai massacri).
    In USA i musulmani non sono pochi: tradizionalmente elettori democratici, in maggioranza hanno già annunciato che stavolta non voteranno Biden.
    Vi sono poi i giovani, talmente abituati a informarsi su Internet che non è facile nasconder loro quello cha avviene a Gaza, chi lo rende possibile o presentarlo come una “guerra giusta”
    Sono queste le ragioni dell’iniziativa di Biden : mandare qualche milione di pasti al giorno costa molto meno che spendere nella campagna elettorale per cercare di fermare l’emorragia di elettori musulmani e giovani, che l’ha ormai nettamente distanziato dall’arcirivale Trump

    Quanto a Israele, nel conto dei costi della guerra, il dr. Tramballi si è dimenticato i salari delle migliaia di mercenari che affluiscono per combattere a Gaza : pagati 4500$ la settimana, a volte anche solo per compiti di sorveglianza, la messa a morte dei palestinesi si rivela un affare molto lucrativo.

  • charlie |

    bellissimo: “Pasti da coccodrillo”!!!!

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