L’umanità è a 90 secondi dalla mezzanotte nucleare, dal suo annientamento. Anche quest’anno il Bulletin of the Atomic Scientists dell’Università di Chicago ha calcolato quanto vicini siamo al disastro atomico. Le lancette del Doomsday Clock si sono fermate alla stessa ora dell’anno scorso, la più vicina alla fine dal 1947, quando ”l’orologio del giorno del giudizio” scandì per la prima volta il tempo.
Gli scienziati che lo hanno calcolato non hanno trovato differenze dal 2023: la guerra in Ucraina continua e a questa si è aggiunta quella di Gaza, con la sua spaventosa perdita di vite umane. Diversamente dalla Russia di Vladimir Putin, Israele – un centinaio di testate – non minaccia l’uso dell’atomica. Ma il conflitto potrebbe allargarsi a una regione dove molti aspirano ad averla.
Lo sfondo di questi conflitti è un mondo nel quale non esistono controlli sulla proliferazione nucleare né è realmente in vigore un trattato per la limitazione degli arsenali: il New START impone fino al 2026 a Usa e Russia una quota delle armi strategiche dispiegate ma perché funzioni, richiede una mutua fiducia che oggi non esiste. La Cina (500 testate) pratica con determinazione quella che gli esperti chiamano “ambiguity”: il suo programma di rapido riarmo rimane un segreto. Infine la maggioranza dei 9 paesi nucleari – Usa, Russia, Cina, Francia, Regno Unito, Israele, Pakistan, India e Corea del Nord – sta spendendo somme enormi per “estesi programmi di modernizzazione e allargamento” degli arsenali.
Le testate nucleari nel mondo sono poco più di 12.500: nella fase più acuta della Guerra fredda arrivarono a 60mila. Circa 9.600 sono in servizio, pronte per essere usate; le altre, obsolete, attendono di venire distrutte. Usa e Russia possiedono il 90% dell’arsenale globale. Il New START consente loro un dispiegamento di 1.550 testate strategiche ciascuno. Gli americani ne hanno 1.419, i russi 1.549. Poi ci sono le armi tattiche, più difficili da calcolare: sono meno potenti ma comunque distruttive.
Il Doomsday Clock è un’unità di misura virtuale: è più il frutto di una constatazione geopolitica che un calcolo scientifico. Ma è un termometro importante e credibile: Il segretario Onu Antonio Guterres l’ha definito “l’orologio dell’allarme globale”. Fu creato nel 1947 dagli scienziati del Manhattan Project che crearono le bombe di Hiroshima e Nagasaki. Il Bulletin e l’orologio furono un tentativo di espiazione per il mostro che avevano scatenato. Robert Hoppenheimer fu il primo presidente del Board of Sponsor creato da Albert Einstein, che con 14 premi Nobel diede vita al Bollettino degli scienziati atomici.
La prima volta, nel 1947, le lancette si fermarono a 7 minuti dalla mezzanotte nucleare. Due anni più tardi scesero a 3, quando i sovietici fecero esplodere la prima bomba all’idrogeno, avviando la folle corsa al riarmo degli anni successivi. Il punto più lontano dal disastro – 17 minuti – fu nel 1991, alla fine della Guerra fredda, quando Usa e Russia firmarono lo START, il primo trattato sulla riduzione delle armi strategiche. Col crescente deterioramento del sistema internazionale, nel 2020 gli scienziati di Chicago decisero di calibrare l’orologio in secondi, non più in minuti: cento secondi quell’anno, 90 dall’anno scorso. I secondi danno un’idea più chiara dell’urgenza, del poco tempo che rimane.
Da qualche anno gli scienziati del Bollettino hanno aggiunto agli arsenali altre cause che insieme al nucleare rischiano di portare all’Armageddon del genere umano. I mutamenti climatici, la disinformazione, le pandemie. Ora anche l’Intelligenza Artificiale.
Per molti versi l’AI assomiglia alla bomba atomica: una volta creata, è impossible richiudere il genio nella lampada. Regolarla si sta dimostrando estremamente difficile: come l’arma nucleare e i suoi trattati che ne hanno a volte limitato ma mai distrutto gli arsenali. Gli scienziati del Bollettino dicono che l’ombra di una catastrofe nucleare accompagna le nostre vite da diverse generazioni. Più passa il tempo, meno è sola.
L’articolo è stato pubblicato sul Sole 24 Ore il 24/1/24