“We are loosing badly in the messaging battlespace”, la nostra narrativa sulla guerra a Gaza sta gravemente perdendo il confronto in Medio Oriente, diceva qualche giorno fa un cablo mandato a Washington dall’ambasciata Usa in Oman. L’isolamento dell’America e del resto d’Occidente su questo conflitto non è solo fra gli arabi ma è globale.
Il vertice di Riyadh ne è stato una prova. E’ difficile ricordare quando sauditi, iraniani, turchi, i litigiosi partner della Lega Araba, si fossero incontrati al più alto livello per esprimere una posizione condivisa.
In realtà il risultato finale del summit è piuttosto generico: cessate il fuoco, condanna d’Israele, creazione di uno stato palestinese. Gli interventi dei leader erano stati molto più duri sia verso Israele che contro Stati Uniti ed Europa. “Chi tace sull’ingiustizia” di ciò che accade a Gaza, diceva il turco Recep Erdogan, “ne è partecipe quanto Israele”.
Tuttavia il risultato di questo vertice è che sia semplicemente avvenuto; che la questione palestinese sia all’ordine del giorno; e che Israele sia in qualche modo regredito all’isolamento dei tempi in cui nel mondo arabo non era in pace con nessuno. La pace con Egitto e Giordania, i recenti accordi di Abramo, le relazioni economiche più o meno informali con molti altri, Arabia Saudita compresa, sono congelati.
I più antichi come i più recenti, sono accordi fra governi, non lo sono mai stati anche fra i popoli. Di fronte alla brutalità delle operazioni israeliane a Gaza, i leader arabi più moderati non possono ignorare la mobilitazione delle loro piazze. Più o meno come Joe Biden a Washington: le sue dichiarazioni pubbliche a favore d’Israele sono diverse dalle pressioni esercitate a porte chiuse, per fermare Bibi Netanyahu. Sta perdendo la battaglia mediatica, ma anche il presidente americano deve tener conto del sostegno incondizionato dei repubblicani a Israele e dei sondaggi che lo danno perdente contro Donald Trump alle presidenziali fra meno di un anno.
Probabilmente non era questo l’obiettivo di Hamas, quando aveva scatenato la brutale aggressione contro Israele, all’inizio di ottobre. Tuttavia, qualunque fosse l’obiettivo, ciò che sta accadendo ne è la conseguenza: nessun arabo parla di normalizzazione con Israele; la questione palestinese ignorata da anni, è tornata prioritaria; Usa ed Europa sono in serie difficoltà fra il sostegno a Gerusalemme e l’evidenza del disastro umanitario provocato dagli israeliani.
Mentre a Riyadh si discuteva, centinaia di migliaia di palestinesi fuggivano dal Nord al Sud della striscia Gaza, grazie a una breve tregua concessa da Israele su pressioni americane. Più di una corsa disperata verso la salvezza, sembrava una pulizia etnica.