Alla ricerca di un nuovo ordine

Delle tante pronunciate al G20, c’è una frase che più delle altre illustra la fase geopolitica nella quale stiamo entrando: “Non dobbiamo dividere di nuovo il mondo”. Lo ha detto Joko Widondo, il presidente indonesiano. E’ qualcosa di più di una generica esortazione alla pace. E’ come un avviso dei paesi emergenti, il Sud del mondo, alle grandi potenze: Usa/Occidente, Russia e Cina. “Grazie, abbiamo già dato”.

Salvo qualche tensione nucleare, la lunga epoca della Guerra Fredda era in qualche modo ordinata perché non prevedeva terze vie fra Usa e Urss: il resto del mondo poteva stare da una parte o dall’altra. Non era una scelta indolore. La guerra è stata fredda nello scontro ideologico diretto tra Washington e Mosca: ma in America Latina, Africa, Medio ed Estremo Oriente, conflitti, golpe e rivoluzioni hanno causato milioni di morti e impedito lo sviluppo economico.

Secondo il nostro punto di vista occidentale, l’aggressione della Russia, doveva essere portata doverosamente a Bali. Pur nelle sue ambiguità diplomatiche, la dichiarazione finale del G20 ne riconosce la gravità e fa di Putin un paria della comunità internazionale. Ma per molti potenziali grandi del G20 è stato invece come riproporre una continuazione della Guerra Fredda nella quale non intendono tornare.

Stati Uniti contro Russia. Conta poco che oggi ci sia anche la Cina, che Pechino sia ormai molto più potente e influente di Mosca: due o tre, è sempre uno scontro fra superpotenze con ambizioni più ampie delle loro naturali sfere geografiche.

Lo scorso marzo aveva fatto scalpore che all’assemblea generale dell’Onu, India, Indonesia, alcuni altri e 17 paesi africani, si fossero astenuti dalla condanna all’aggressione russa. A Putin ha fatto comodo ma a chi si è astenuto importava relativamente. Il voto intendeva sottolineare che quella ucraina era una guerra europea, per quanto dalle diramazioni economiche globali. E il fatto che avvenisse in Europa per noi era un pericolosissimo precedente; a loro segnalava invece un cambio di paradigma: d’ora in poi i conflitti e le alleanze saranno mobili, relativamente impegnative.

Il modello più riuscito di questo nuovo sistema on demand è l’India: qualche nemico, molti amici, nessun alleato. Cliente della Russia per l’energia; associato a Stati Uniti e Giappone nel contenimento delle ambizioni cinesi sull’Himalaya; partner della Cina nei commerci. Anche se all’ultimo congresso del Pcc Xi Jinping è tornato al marx-leninismo, non ci sono più ideologie che impegnino; sia pure con qualche sfumatura diversa, il libero mercato è universale. Dunque non ci sono più barriere invalicabili che impediscano una geopolitica mobile. Già il G20 è un format nato nel 1999, a Guerra Fredda sepolta.

Tuttavia le tre superpotenze e la guerra in Ucraina sono comunque state le protagoniste di questo consesso. Quelle che davvero lo sono – la vecchia potenza americana che non da’ segni di cedimento e la nuova cinese sempre più ambiziosa – hanno offerto segni confortanti. Nel loro schietto incontro, Biden e Xi hanno riconosciuto le reciproche ambizioni e di essere legittimamente in competizione. E’ stato come i primi faccia a faccio tra Ronald Reagan e Mikhail Gorbaciov, alle metà degli anni Ottanta. Il loro agree to disagree, riconoscere che non essere d’accordo non è un ostacolo, in pochi anni portò a intese strepitose.

Il passaggio a Bali della guerra in Ucraina è stato un nuovo disastro per Vladimir Putin: come la sconfitta militare, la presunzione di tenere la Nato lontana dalle sue frontiere, l’irresponsabile minaccia dell’arma nucleare. Le dichiarazioni di Serghei Lavrov, la sua partenza furtiva dall’Indonesia e subito dopo l’offensiva missilistica russa sulle città ucraine, hanno costretto anche i più riluttanti a sottoscrivere la dichiarazione finale del summit. Se la Cina non ha mostrato palesemente la sua insofferenza per le azioni russe è solo perché sarebbe stato concedere una inammissibile vittoria a Joe Biden.

Ma una Russia fuori controllo richiede con più urgenza l’uso della diplomazia per trovare la strada fra le aspettative degli ucraini e le illusioni russe. Il mondo che sta crescendo è più libero ma potenzialmente più pericoloso.

 

 

  • carl |

    Sono più che convinto che, non solo ma anche per le nuove esplosioni verificatesi nelle vicinanze della centrale elettro-nucleare di Zaporidja, in Ucraina sia proprio il caso di giungere, se non ad una pace, almeno ad un armistizio.
    Ed infatti, sia i “sapiens” comuni che quelli che contano, dovrebbero cercare di immaginarsi (ex ante, anziché ex post) come si complicherebbe la situazione (in primis nell’UE) se all’inflazione, alle carenze ed all’aumento di prezzo del gas, ecc. si aggiungesse anche una sorta di nuova Tchernobyl…Che oltretutto avrebbe degli effetti anche sullo stato d’animo dei combattenti…
    Quanto all’obiezione espressa da Zelensky che non può esserci pace senza prima recuperare i territori perduti, gli si dovrebbe ribattere che la storia è piena di paci, o simil-paci, concluse anche dopo che una delle parti avesse perso (temporaneamente o sine die) parte del proprio territorio. E le vicissitudini storiche della vicina Polonia sono uno dei numerosi esempi del genere..

  • carl |

    Non dobbiamo dividere di nuovo il mondo..” Verissimo, perchè in realtà lo è già diviso.. Lo è sempre stato e sin da quando la demografia era molto, ma molto lontana dai suoi attuali livelli, bisogni, aspettative e quant’altro.
    Quanto alla convinzione che: “…sia pure con qualche sfumatura l’economia di mercato è universale…”.
    Può anche darsi che in qualche misura sia così, tuttavia sono personalmente convinto che detta modalità gestionale economica: “dùra minga..dùra no..”, frase con la quale concludevano uno sketch del format pubblicitario “Carosello” i suoi due protagonisti..
    Ed infatti non può durare (beninteso per tutti.. Cioè a livello globale) senza una più che razionale programmazione ed un ridimensionamento e mutamento di produzioni, risorse, consumi e quant’altro…
    Certo, se si esclude il livello internazionale, so bene che di programmazione (anzi di crono-programmi..) di questo e/o di quello, è di moda parlarne ad ogni livello politico, ossia da quello municipale a quello via, via crescente fino a quello nazionale.. Ma il più delle volte si tratta soltanto del ricorso ad un’espressione forbita che, salvo possibili ma rare eccezioni, lascia il tempo e/o i tempi che trova.
    E, come dicevo, sul piano internazionale non se ne parla affatto, neppure a vanvera..:o)
    Ma lasciamo la teoria economica nel suo brodo di mercato e torniamo a quel conflitto “sui generis” che è la guerra ucraina.
    Dopo l’incidente polacco non pochi hanno dimenticato per alcune ore l’inflazione, i prezzi e la scarsità dell’energia, nonchè tutti i conseguenti annessi e connessi in via di materializzazione. Mentre altri hanno gridato chi all’articolo 5 dei moschettieri della NATO (“Uno per tutti e tutti per uno!”), chi (il Pentagono) “Difenderemo (whatever it takes..) ogni centimetro del territorio della NATO!”, mentre altri ricorrevano ad espressioni quali “siamo sull’orlo dell’abisso nucleare..” e/o dell’apocalisse atomica, e perfino dell’Armageddon..
    Ma credo che il grosso della truppa non si sia reso conto di nulla e, comunque, più che alla pace continui a piuttosto a pensare e a voler essere lasciato in pace, ma sopratutto in condizioni di sbarcare il lunario..
    E Zelensky? Pare che egli escluda anche una pur breve tregua (forse nemmeno ad una natalizia..) e dallo scorso febbraio continuiamo mediaticamente a vederlo comparire ancora in costume, cioè indossando quella T shirt militaresca con o senza felpa o giubbotto, mentre milioni di concittadini (tra quelli che non sono espatriati) rimangono spesso al buio e battendo i denti dal freddo, infagottati per quanto e con ciò che sia loro possibile..

  • habsb |

    egr dr Tramballi
    che dire ? anche noi nel nostro piccolo, dovremmo “agree to disagree”!
    Eh si’ perché dove Lei vede una “sconfitta militare” russa, io vedo un territorio occupato (ormai da mesi) grande come uno stato europeo minore, e perdipiù sede della maggior parte dell’attività economica ucraina.
    Perfino i militari USA hanno detto “urbi et orbi” che la riconquista di questi territori è ormai “highly unlikely” e il vecchio Biden ha consigliato pubblicamente al “pianista” Zilinski di formulare ipotesi più realiste di negoziato, non senza averlo umiliato pubblicamente con la secca smentita riguardo al missile inviato in Polonia, che non è russo ma ucraino.

    Che la diplomazia sia la sola uscita possibile in questa guerra (come in tutte d’altronde) è fin dal 2014 la posizione del governo russo, constantemente rifiutata ai vertici NATO che hanno dichiarato che la guerra sarà decisa dalle armi.

    Poi, i segni confortanti che Lei crede di vedere nel rapporto fra il vecchio Biden e l’autocrate Jingpin, che ha profittato di Bali per dare una bella tirata di orecchie allo scagnozzo canadese di Biden, si limitano alla necessità per Biden di curare gli affari personali della sua famiglia in terra di Cina, calando le braghe a qualsiasi richiesta cinese, dall’abbandono di HongKong a quello delle sensate misure protezionistiche di Trump, alla completa tolleranza della Corea del Nord che evidentemente non pone le stesse minacce alla democrazia e alla sicurezza nucleare dell’Iran, contro cui l’Occidente si è invece scatenato tentando di far crollare il governo.

    Il nuovo ordine per chi sa vederlo è già presente: dopo che tutti i tentativi fatti da Putin per avvicinarsi all’Occidente cristiano, compresa l’esplicita domanda a Clinton di integrare la NATO (che Bill “cigar” rifiuto’ con evasiva arroganza) sono stati umiliati dalla cricca neocon che domina i governi USA dall’epoca appunto di Clinton, non resta ai russi che costruire una casa comune in Asia, con potenze come la Cina Popolare, l’India, l’Iran, l’Indonesia, gli “Stan” …formando il più grande spazio economico mondiale in termini di consumatori, risorse naturali, produzione e assolutamente autonomo in campo militare e spaziale
    La costruzione di un’infrastruttura commerciale e finanziaria alternativa all’Occidente è già ben avanzata come testimoniano gli scambi commerciali e petroliferi in yuan e rubli.
    E certi pesi massimi come i sauditi hanno già scelto il proprio campo.

    Il treno dell’Asia si è messo in moto, caro Tramballi, e l’autogol degli USA (con Trump e Kissinger non sarebbe accaduto) e ancor più dell’Europa (che non sarebbe accaduto con Merkel e Chirac) rischia di fare dell’occidente una zona di second’ordine, distrutta economicamente dalla Cina mentre paga a prezzo d’oro alla Russia le sue risorse naturali (non do’ più di qualche anno perché le sanzioni europei su “oil and gas” siano ritirate), e dall’India e Vietnam per la manodopera a prezzo competitivo.

    L’unica speranza che resta all’Europa è che le indagini annunciate dalla nuova maggioranza repubblicana USA sulla famiglia Biden generino un terremoto a Washington in grado di invertire completamente la politica USA riavvicinandoci ai russi.

    E’ quasi Natale, é lecito sognare…

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