STAGNAZIONE AMERICANA

Le democrazie del mondo si chiedono perché il sistema americano non possa aggiustare se stesso, era il tema di un articolo del New York Times di alcuni giorni fa. Perché è evidente che qualcosa non funzioni. E che il risultato delle mid-term con la spaccatura fra democratici e repubblicani, ostili fra loro come due nazioni nemiche, non poteva che confermarlo.

Per decenni molti paesi hanno aspirato a diventare come l’America. “Ma ora”, scrive il Times, “molte delle democrazie che una volta guardavano agli Stati Uniti come a un modello, temono che abbia smarrito la sua strada”. Secondo il sondaggio su 134 paesi di un’istituzione berlinese, gli Usa sono dietro la Polonia per qualità della vita.

Non è solo la versione economica del “sogno americano” che è in discussione. “Gli Stati Uniti sono i difensori della democrazia globale e i garanti della vitalità delle democrazie occidentali”, diceva uno slogan. Sarà ancora così? Da Taiwan all’Ucraina, dalle repubbliche baltiche a Israele, dal Canada all’Unione Europea. L’esistenza stessa di alcuni paesi continua a dipendere dalla forza degli Stati Uniti; per altri è un elemento di stabilità contro le loro stesse involuzioni interne: per esempio Israele e diversi paesi europei.

Un tempo la politica estera americana era un pilastro bipartisan: repubblicani o democratici, le correzioni da un presidente all’altro erano minori. La forza dell’America era di saper attrarre alleati per le sue qualità e le aspettative che suscitava, non attraverso l’uso forzato dell’obbedienza: il suo era un “empire by invitation”.

Prima di George W. Bush con le sue scriteriate guerre, forse erano i repubblicani con la loro solida visione internazionalista, a dare più garanzie agli alleati europei. Oggi dal Medio Oriente alla Russia, dall’Asia all’Africa; dall’impegno per la diffusione della democrazia o la spinta verso un nuovo isolazionismo, il mondo di Joe Biden e quello di Donald Trump sono profondamente diversi.

Il XXI non sarà più “il secolo americano” come il precedente. Ma gli Stati Uniti resteranno a lungo il paese più potente sul piano economico, militare, geopolitico e scientifico. Dal 2000 ad oggi 104 americani hanno vinto un Nobel per la medicina, la chimica o la fisica: 40 di questi erano immigrati. Sarà importante per gli alleati capire cosa ne farà di questa potenza. L’America è sempre stata un campione imperfetto dell’internazionalismo liberale che professa. Ipocrisia e perseguimento egoistico dell’interesse nazionale, non sono mai mancati. Ma oggi il timore è che si trasformi in qualcosa di molto diverso.

Un’altro motivo di preoccupazione degli alleati è l’incapacità degli Stati Uniti di riformare se stessi, di correggere i difetti che ne accelerano il declino e causano instabilità. Infrastrutture obsolete, diffusione delle armi da fuoco, grandi ricchezze e povertà profonde sono questioni vecchie di decenni alle quali nessun presidente è mai riuscito a dare una risposta articolata e definitiva. Due pilastri fondamentali per un sistema democratico – giustizia a partire dalla Corte Suprema, e commissioni elettorali – negli Stati Uniti sono estremamente politicizzati.

Il risultato ancora parziale delle mid-term è in qualche nodo la sintesi di tutte queste debolezze. Di solito medio termine è un referendum sul presidente in carica; e di solito anche i migliori dei presidenti subiscono pesanti sconfitte. Questa volta invece è possibile che i due partiti si dividano la maggioranza nelle due Camere.

Ma anche se i repubblicani le vincessero entrambe, non c’è stata la prevista “ondata rossa”, il colore del partito. Non è ancora chiaro quanto Donald Trump ne sia in vero padrone né quanto indebolito Joe Biden uscirà dalle urne.

Sembra essere un risultato di parità che se alla fine venisse confermato, non congelerà solo il consenso popolare su due fronti: paralizzerà la capacità americana di definire politiche e rassicurare gli alleati sempre più preoccupati. I probabili candidati alle prossime presidenziali sono Biden che nel novembre 2024 avrà 81 anni; e Trump che ne avrà 78. Da queste mid-term escono entrambi indeboliti: il primo per non aver conservato una o entrambe le Camere, il secondo per non aver sfondato.

Saranno altri due anni di scontri feroci e di stallo. Lo storico Samuel Huntington sosteneva che “l’America non è una menzogna, è un disappunto. Ma può essere un disappunto solo perché è anche una speranza”. Le speranze vanno tuttavia coltivate.

 

  • carlc |

    E sempre sulla Libia e dintorni c’è pure una ponderata risposta di S.Romano (30.03.2016) nella rubrica “Lettere al Corriere”.

  • carl |

    Solo 2 righe perchè stiamo andando fuori tema.. Ho dato un’occhiata al link da Lei indicato, ma anche ad un articolo di Le Monde del 25.07.2006, un giornale che ritengo affidabile e che a suo tempo accennò allo stesso argomento.

  • habsb |

    egr. sig. Carl
    sur la fin de Gheddafi, puo’ consultare ad esempio
    https://blogs.mediapart.fr/danyves/blog/310316/hillaryleaks-le-projet-panafricain-de-dinar-or-derriere-la-guerre-en-libye

  • carl |

    Egr “habsb”
    Devo subito dire che la frase “il nostro nemico è (divenuto) la guerra stessa..” l’ho ascoltata (e pienamente apprezzata) anni fa guardando il film “Allarme rosso”(Crimson tide 1995) pronunciata, secondo copione, da Denzel Washington nel ruolo di secondo in comando di un sottomarino nucleare USA, il cui comandante (Gene Hackman) aveva poco prima magnificato l’inaudita potenza di fuoco (cioè distruttiva) del mezzo subacqueo.. Uno dei tanti che, 24 ore su 24 e giorno dopo giorno, sono in silenziosa, profonda e (per il momento) non localizzabile navigazione perchè a sto mondo, oltre a alla divisione, regna anche non poca diffidenza…
    Colgo l’occasione per dirLe, con riferimento ad un suo precedente commento, che avevo sentito accennare agli ambiziosi progetti di Gheddafi, dei quali tuttavia non dispongo di prove, salvo forse quella di un uso politico in ambito africano del petrolio libico nonchè la realizzazione o comunque l’ottenimento della “bomba”, senza la quale è un dato di fatto che, nella Fattoria mondiale, le nazioni che non l’hanno sono “meno uguali” delle altre.. :o)
    Progetti/ambizioni che probabilmente gli sono costate la fine che ha fatto.

  • habsb |

    egr. sig, Carl
    trovo il Suo commento particolarmente appropriato.
    Rispetto alle stanche banalità e agli errori di ortografia di cui ci ha gratificato il dr. Tramballi, Lei ha individuato il punto fondamentale di un’analisi dell’attualità internazionale, quando ha scritto che il vero nemico globale oggi è la guerra. Guerra che si definisce come presenza di truppe militari in territori di altra sovranità.
    Truppe americane in Siria (che rubano sfrontatamente il petrolio), truppe francesi in vari stati africani, truppe ucraine in territori che si sono dichiarati indipendenti nel 2014 e russi nel 2022, Truppe cinesi (dal 1950) nella grande nazione occupata del Tibet, truppe saudite in Yemen (di gran lunga la guerra più sanguinosa in atto con 350mila morti, nel disinteresse generale). E quante altre ancora …

    Quando sentiamo il vecchio Biden leggere, nel discorso che gli hanno scritto i suoi burattinai “neocon”, che la guerra in Ucraina finirà solo quando i russi lasceranno quello che lui chiama Ucraina, ossia i territori neo-russi del Donbass e della Crimea, (cioè mai) capiamo che il governo USA attuale manterrà colà uno stato di guerra permanente identico a quanto fatto per decenni in Afganistan , stato di guerra che rovinerà l’Europa con l’emigrazione ucraina e la privazione dell’energia russa.

    E quindi necessario per il pianeta e ancor più per l’Europa, che gli USA ritrovino quello spirito pacifista, che hanno perduto a partire dalla presidenza Clinton, autore della selvaggia aggressione illegale ai danni della Serbia, contro il volere dell’ONU. Chissà se la nuova Camera dei rappresentanti, tornata ad essere sotto maggioranza repubblicana, andrà in questa direzione, o se sarà come il gabinetto Biden, una mera estensione della cricca “neocon” che da 30 anni insanguina il pianeta massacrando popolazioni innocenti.

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