Non era con un governo israeliano così che più di due anni fa quattro paesi arabi avevano firmato gli accordi di Abramo: con i sauditi da facilitatori, pronti a chiudere importanti affari con l’ex “nemico sionista”. Il primo ministro era sempre Bibi Netanyahu, ma i suoi principali alleati di governo erano i centristi Yair Lapid e Benny Gantz. Nell’esecutivo c’erano anche i laburisti.
Oggi il partito che più sostiene la ridotta maggioranza di Netanyahu, è Sionismo Religioso. Il suo leader, Itamar Ben-Gvir, era seguace di Meir Kahane, un rabbino che aveva fondato un movimento messo fuori legge negli Stati Uniti perché considerato organizzazione terroristica. In Israele ai kahanisti era vietato candidarsi. Una volta. Oggi Sionismo Religioso dall’intatto estremismo, è il terzo partito alla Knesset, il Parlamento, e al suo leader Netanyahu aveva promesso il ministero degli Interni. Ora che i nazionalisti religiosi sono i veri vincitori di queste elezioni, Ben-Gvir potrebbe volere di più.
Gli estremisti di destra vogliono organizzare una milizia nei Territori occupati, allargare le colonie, estromettere i palestinesi. Il vertice della Lega Araba che si è chiuso martedì ad Algeri non ha mostrato molto interesse per la causa palestinese. Ma un governo a Gerusalemme così fortemente anti-arabo potrebbe risvegliare i vecchi sentimenti di solidarietà, se i religiosi mettessero in pratica la loro ideologia; spingere anche Emirati, Bahrein, Sudan e Marocco, i quattro firmatari di Abramo, a riconsiderare le loro scelte.
Ma più delle reazioni nel mondo arabo, più di Teheran (in Israele destra e centro-sinistra sono ugualmente contrari alla ripresa dell’accordo sul nucleare iraniano), è con gli Stati Uniti che potrebbe aprirsi un confronto pericoloso. Anche con l’Unione Europea: ma gli israeliani non amano la Ue, sebbene sia un importantissimo partner commerciale. Gli Usa sono invece il primo alleato, il garante della sicurezza dello stato ebraico, il principale finanziatore e fornitore militare: nessun membro Nato ha lo stesso accesso alle armi americane più avanzate.
Fino a qualche giorno fa il presidente israeliano Isaac Herzog, antica famiglia dalle tradizioni laburiste, era in visita a Washington. Proponendo un suo discorso al Campidoglio a camere riunite, Nancy Pelosi e Chuck Schumer, leader dei due rami del parlamento, hanno definito la nascita d’Israele, 75 anni fa “una delle più grandi realizzazioni politiche del XX secolo”.
Ma ora a Gerusalemme c’è di nuovo Netanyahu accompagnato dai nazionalisti ultra-religiosi: da premier, Bibi aveva con Joe Biden e i democratici rapporti peggio che pessimi. Durante la campagna elettorale Netanyahu aveva promesso che avrebbe “neutralizzato” l’accordo sui confini marittimi con il Libano, firmato pochi giorni fa da Israele. La sistemazione di quei confini significa più gas naturale e meno tensione con Hezbollah. Inviando uno dei suoi migliori negoziatori, Biden si era fortemente impegnato per raggiungere l’accordo.
Dall’inizio di quest’anno nei Territori occupati sono stati uccisi 170 palestinesi: in scontri a fuoco con l’esercito o assassinati dai coloni israeliani. Solo a ottobre questi ultimi, la base del partito di Ben-Gvir, hanno compiuto100 aggressioni contro i villaggi palestinesi. A Herzog il segretario di Stato Antony Blinken ha chiesto che Israele riveda le sue regole d’ingaggio e aiuti a ristabilire la calma.
Nelle città palestinesi la tensione sale da mesi: senza una via d’uscita dall’occupazione né una guida politica che l’Autorità palestinese non sa dare, i giovani tornano alle armi. Un governo molto di destra e molto religioso a Gerusalemme potrebbe alzare il livello dello scontro, costringendo l’amministrazione Biden a reagire.