“Il nono allargamento della Nato dalla sua fondazione nel 1949, sarà ricordato come l’allargamento di Vladimir Putin”, scriveva qualche giorno fa sul Financial Times l’ex premier finlandese Alexander Stubb. Come il fallimento militare sui campi di battaglia, è il disastro geopolitico della guerra in Ucraina del presidente russo.
All’inizio dell’anno l’adesione all’Alleanza Atlantica non era parte del dibattito nazionale in Svezia e Finlandia: ricchi, democratici e bene armati, i nordici vivevano una comoda neutralità che non impediva loro di avere stretti rapporti con la Nato. La Finlandia spende già il 2% del suo Pil per la Difesa, come richiesto a tutti gli alleati, e ha già acquistato 64 F-35, l’ultima generazione di caccia multiruolo Nato. Il tema dibattuto in Europa era piuttosto come “finlandizzare” l’Ucraina, come trasformarla in un paese neutrale per placare le minacce di Putin contro un allargamento Nato del quale gli alleati occidentali non discutevano da anni.
Quello che ora sta per accadere è che Svezia e Finlandia saranno il 31° e il 32° paese dell’alleanza (la trentesima era stata la Macedonia del Nord, nel 2020); che nella UE le uniche nazioni a non esserne parte saranno Austria, Irlanda, Cipro e Malta; che con i 1.336 chilometri di frontiera finlandese, i confini della Russia con la Nato raddoppieranno; che San Pietroburgo, dove Putin è nato e ha iniziato la carriera politica, sarà a pochi chilometri dalla città di frontiera di Vyborg, oltre la quale c’è il “nemico”.
Era previsto che la richiesta di adesione di Svezia e Finlandia sarebbe stata avanzata al vertice Nato del 29 giugno, a Madrid. L’orribile comportamento di Putin e dei suoi soldati nella vicina Ucraina, ha spinto ad accelerare le procedure. I requisiti di democrazia, libero mercato e primato del potere civile sui militari, richiesti dall’Alleanza, sono più vaghi di quanto impone la Ue ai suoi membri. Nel 1949 tra i 12 fondatori c’era il Portogallo del dittatore Salazar; nel 1952 entrò la Turchia che sarebbe stata governata a lungo dai generali golpisti: oggi è di nuovo difficile definire democratico il regime di Recep Erdogan. Come a voler confermare le perplessità, ora la Turchia minaccia di opporsi all’ingresso di Svezia e Finlandia nella Nato. Gli scandinavi danno rifugio agli oppositori del regime di Ankara e come ogni aspirante dittatore, anche Erdogan pensa che chiunque gli si opponga sia un terrorista.
Parafrasando Henry James, lo storico della politica estera americana Michael Kimmage sostiene che la Nato sia “un mostro ingrassato e appesantito che si estende dall’America del Nord all’Europa Occidentale, dagli stati baltici alla Turchia”. Nel 1991, dopo la fine dell’Urss e la dissoluzione del Patto di Varsavia, venuta cioè meno la ragione per cui era nata, i paesi membri diventati 16, avevano incominciato a chiedersi a cosa dovesse servire la Nato. Bill Clinton aveva creato una “Partnership for Peace” Ma fu un surrogato, non un sostituto dell’Alleanza Atlantica, nel quale ci sarebbe stato posto per la Russia di Boris Eltsin, gli ex membri del Patto di Varsavia e i neutrali.
Non durò. Come ricorda Andrei Kozyrev, ministro degli Esteri di Eltsin, l’amministrazione Clinton dava pericolosamente per scontata la democrazia in Russia; quella successiva di George W. Bush era piena di vecchi arnesi della Guerra Fredda che continuavano a vederla come un avversario dei vecchi tempi. Alla ricerca di una ragion d’essere, la Nato sarebbe stata utilizzata in missioni militari dai discutibili risultati in Serbia, Libia, Afghanistan.
Ma la ratio che i membri occidentali non trovavano, la offrirono gli europei orientali, liberati dal controllo sovietico ma ancora convinti che la Russia sarebbe tornata minacciosa. Da 1999 a oggi, con Polonia, Repubblica Ceca e Ungheria per primi, 14 paesi dell’Est hanno chiesto e ottenuto di entrare nell’Alleanza.
Vladimir Putin ha confermato le loro preoccupazioni, causando con le sue azioni la compattezza della Nato che americani ed europei faticavano a ritrovare. L’ammonimento di Michael Kimmage è tuttavia reale: un’alleanza a 32 rischia l’ipertrofia, se non governata. Ricordando i quattro anni terrificanti di Donald Trump, che non è affatto uscito di scena, l’Unione Europea lavora a una “autonomia strategica”. Il concetto è ancora vago, non è chiaro come si armonizzerà con l’alleanza che già esiste.
Esattamente quanto la Nato, la UE è un’associazione piuttosto pletorica. E alquanto litigiosa prima che la pandemia e la guerra di Putin ci costringessero a pensarci uniti. L’opportunità non va sprecata: definirà la forza o la debolezza del mondo democratico in questa e nelle sfide future.
Il Sole 24 Ore, 15/5/2022