Il 9 novembre del 1989 due giovani quasi della stessa età, uno a Dresda, l’altra a Berlino Est, osservavano allibiti in televisione la caduta del Muro. Entrambi stavano assistendo alla fine di un mondo che conoscevano, dentro il quale erano cresciuti.
Il primo, russo, era un agente reclutatore del Kgb e parlava tedesco; la seconda, della Ddr, aveva studiato il russo a scuola e faceva la chimica senza grande entusiasmo.
In questo inizio di vite parallele ma profondamente diverse, che sarebbero proseguite per trent’anni, Vladimir Putin e Angela Merkel si trovarono entrambi di fronte all’obbligo di ricominciare: il primo in una nuova realtà post-sovietica, la seconda in una Germania riunificata.
Ma da questa esperienza potenzialmente destabilizzante o formativa, Putin ha costruito il suo mondo di nemici della Russia e l’impellenza di ricreare a qualsiasi prezzo la potenza imperiale perduta. Merkel invece ha dimostrato che un’alternativa al mondo crollato, c’era. Un anno dopo la caduta del Muro era già deputata del Bunderstag e qualche mese più tardi ministra per la gioventù del quarto governo di Helmut Kohl.
“Tutto ciò che sembra scritto sulla pietra o inalterabile, può cambiare”, avrebbe raccontato Angela Merkel molti anni più tardi agli studenti di Harvard. Per quanto minaccioso, il Muro “non poteva imporre limiti ai miei pensieri. La mia personalità, la mia immaginazione, i miei sogni e desideri: proibizione e coercizione non potevano limitare nulla di tutto questo”.
Putin al contrario, ha deciso di ricreare il suo mondo oscuro e vendicativo, fondandolo esattamente su proibizione, coercizione e immutabilità. E in questa scelta non ha scuse, le responsabilità della Nato non c’entrano: poteva anche lui scegliere diversamente.
Che finale avrà dunque questa guerra in Ucraina? E che ne sarà di Vladimir Putin? Anche se vincesse in Ucraina, o se solo si accontentasse di un risultato minimo, rivendicando la vittoria (bugia più, bugia meno, non fa differenza) e restando al potere, come potremmo convivere con quell’uomo? E se Putin resta, può la guerra davvero finire e contemporaneamente le sanzioni restare in vigore?
Alla Russia i crimini di guerra ai quali stiamo quotidianamente assistendo, si possono condonare in nome di un nuovo inizio europeo. Ma a una Russia di Putin come potremmo? Cicerone sosteneva che una pace ingiusta è sempre meglio di una guerra giusta. Secondo Henry Kissinger la pace non è un obiettivo raggiungibile e nemmeno desiderabile: “Per la maggioranza dei popoli nella maggioranza dei periodi della storia, la pace è stata una condizione precaria e non la millenaria scomparsa di tutte le tensioni”. Ma anche chiamandola con un altro nome, compromesso, potremmo raggiungerne uno con Putin, nella speranza che sia diverso da ciò che è?
Sto facendo troppe domande alle quali non so dare una risposta. E quelle che mi vengono in mente sono tutte negative.
Nel 2007 Angela Merkel, la cancelliera, andò a Sochi per incontrare Vladimir Putin, il presidente. Nella stanza del colloquio per il quale non era previsto un interprete, il russo fece entrare il suo cane Konni. Per chi ama gli animali era un bellissimo Labrador nero ma era noto che Merkel avesse paura dei cani. Le foto dell’incontro dimostrarono chiaramente il disagi della tedesca, e il sorriso cattivo e compiaciuto del russo.
“Capisco perché deve fare questo”, avrebbe poi raccontato Angela Merkel ai giornalisti. “Per provare che è un uomo. Ha paura delle sue debolezze. La Russia non ha niente, non una politica né un’economia di successo. Tutto ciò che hanno è questo”.
Http://www.ispionline.it/it/slownews_ispi/
Allego un’analisi sull’India e la guerra in Ucraina, scritta per Ispi
https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/india-non-allineata-ma-non-molto-34143