La corsa al ruolo di mediatore fra ucraini e russi si riempie di candidati quasi quanto una primaria alle presidenziali americane. Tuttavia la caratteristica più richiesta è di rappresentare un’autocrazia come quella cinese o una via di mezzo fra dittatura e democrazia, come la Turchia.
Mediatori democratici come Stati Uniti ed Europa non possono essere ammessi perché sono parte in causa del conflitto a favore dell’Ucraina. La seconda ragione è che Xi Jinping e Recep Erdogan assomigliano più a Vladimir Putin che a Volodymyr Zelensky, probabilmente ne comprendono meglio i comportamenti: sebbene avessero buoni rapporti economici anche con l’Ucraina.
Poi d’improvviso arriva la notizia dell’a conversazione telefonica fra Joe Biden e Xi Jinping, e la questione del mediatore ideale decade: il loro è uno scambio d’idee a latere della trattativa ma capace di determinarne la traiettoria.
Tutto questo è un’elucubrazione sul sesso degli angeli fino a che non si stabilisce un cessate il fuoco sufficientemente durevole, durante il quale i due nemici mettono per iscritto le loro linee invalicabili e lo spazio per un compromesso. Poiché all’inizio l’obiettivo era la”denazificazione” dell’Ucraina, ogni concessione di Putin sarebbe una sconfitta. Dunque si teme che le confuse pre-trattative in corso siano un pretesto per guadagnare vittorie sul campo.
I mediatori possibili sono dunque tre, per importanza crescente: Turchia, Israele e Cina. Il vantaggio della prima è di non avere quasi nulla da perdere nel conflitto: la situazione nel Nord della Siria, dove turchi e russi si guardano, è stabile riguardo alla volatilità dell’area. Lo svantaggio è di non avere un reale peso negoziale: il mediatore deve avere anche la forza di alzare la voce quando la trattativa si fa difficile.
Il secondo candidato è Israele che invece avrebbe molto da perdere se prendesse le parti di americani ed europei. I russi hanno un importante ruolo di contenimento delle attività di iraniani ed Hezbollah libanese alle frontiere settentrionali. L’aviazione israeliana non potrebbe bombarda basi nemiche in Siria e Iran senza il tacito consenso russo.
Anche a causa di questo – ma non solo – Israele è estremamente riluttante ad applicare sanzioni alla Russia. Il primo ministro di destra Naftali Bennett prende tempo, il ministro degli Estri Yair Lapid, di centro-sinistra, condanna la Russia. La sottosegretaria di Stato americana Victoria Nulan è stata chiara: “Non potete diventare l’ultimo paradiso di denaro sporco che alimenta le guerre di Putin”.
Uno dei mantra d’Israele è di essere l’unica democrazia occidentale in Medio Oriente. É vero ma è anche l’unica democrazia che occupa un territorio di altri, la Cisgiordania palestinese; e l’ultima che non applica le sanzioni contro Putin e oligarchi: quelli di origini ebraiche, hanno anche la cittadinanza israeliana. Possiedono giornali, televisioni, investono nell’edilizia, hi-tech, banche. Prima di darsi alla politica, il ministro della Difesa Benny Ganz è stato capo di Fifth Dimension, piattaforma di big-data finanziata da un magnate russo. A febbraio Yad Vashem, il memoriale dell’Olocausto, aveva chiesto all’ambasciatore americano di non sanzionare Roman Abramovich (che è anche il secondo uomo più ricco d’Israele) “per il suo contributo al popolo ebraico”. Quando è scoppiata la guerra ha sospeso la “partnership strategica” che aveva con l’oligarca.
Ma è chiaro che l’eventuale vero negoziatore per gravitas, massa critica, economica e politica sia la Cina. E’ quello che avrebbe più da perdere ma anche da guadagnare. E’ tuttavia anche il più riluttante. L’americano Foreign Affairs scrive che “un leader autocratico circondato da sicofanti, alimentato da un risentimento storico e ambizioni territoriali, è una prospettiva minacciosa. Xi non è Putin e la Cina non è la Russia ma non sarebbe saggio ignorare i paralleli crescenti”.
Tuttavia i cinesi hanno sempre imparato dagli errori russi: il caos delle riforme di Gorbaciov, della democrazia di Eltsin, l’incapacità di cambiare l’economia e di modernizzare il paese. Ora è possibile che Xi si sia pentito di aver chiamato “senza limiti” l’amicizia con Putin, due settimane prima che invadesse l’Ucraina.
Una volta di più sta imparando da un altro sbaglio catastrofico: la resistenza ucraina e l’inaspettata compattezza d’Occidente sono propedeutici all’eventuale aggressione a Taiwan. Deng Xiaoping amava spesso citare Lord Palmerston: “Non abbiamo alleati eterni e non abbiamo nemici perpetui. I nostri interessi sono eterni e perpetui”.