Biden, l’agenda rivoluzionaria di un presidente frenato da mezzo paese

Come post di questa settimana ripubblico il commento sui 100 giorni di Biden, apparso qualche giorno fa sul Sole 24 Ore

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Per poter giudicare se nei suoi primi cento giorni Joe Biden sia stato un presidente buono o cattivo, è necessario tenere conto di un’unità di misura che i predecessori non avevano. Nei sondaggi il presidente ha dieci punti più di Donald Trump dopo lo stesso periodo di amministrazione. Ma è solo il 52%, poco se il giudizio riguarda la fase migliore di un presidente, quando la gente crede ancora alle sue promesse elettorali: Bill Clinton, George W. Bush e Barack Obama superavano di gran lunga il 60%.

Quei semplici due punti sopra la media dimostrano quanto l’America continui ad essere profondamente divisa: è questa spaccatura con le difficoltà che causa, l’unità di misura con la quale giudicare Biden. Di solito la sconfitta di un presidente chiude un’epoca e il vincitore ne apre una nuova. Questa volta no. Le tossine del trumpismo sono ancora attive.

Normalmente il partito che perde avvia una fase di ricostruzione. Invece fra i repubblicani, dai vertici di camera e senato alla base, non domina il cambiamento ma la fedeltà a Trump e ancora la convinzione di una vittoria elettorale rubata, contro ogni realtà conosciuta. Ignorato l’assalto al Campidoglio, le provocatorie dichiarazioni dell’ex presidente, la sua istigazione all’odio razziale, i rapporti di Cia ed Fbi sulle ambigue connessioni con Putin, canne fumanti di un tradimento.

Non era con una divisione così profonda del paese che gli altri presidenti dovevano fare i conti all’inizio dei loro mandati. Non Clinton né Bush, sebbene i segni evidenti della grande spaccatura fossero già apparsi durante l’amministrazione Obama. Il primo presidente afro-americano in 220 anni dopo 43 bianchi, 18 dei quali proprietari di schiavi, è stato il vero inizio della rivoluzione che sta dividendo l’America: l’ammissione di essere un paese multi-razziale. Biden sta continuando il processo, inseguito da eventi drammatici quotidiani che lo rendono sempre più impellente. Quanto durerà non lo sa nessuno ma questa fase di transizione, così radicale, sarà difficile e piena di ostacoli.

E’ questo lo sfondo agitato dell’America mentre Joe Biden cerca di fare il presidente a tutto tondo. La battaglia contro il Covid è probabilmente il suo fiore all’occhiello, nonostante anche su questo più di un governatore repubblicano abbia remato contro: la lenta ma determinata diminuzione dei contagi negli Stati Uniti e l’inaspettato disastro indiano, dimostrano la fondamentale differenza fra chi governa affrontando il pericolo e chi lo fa, distorcendolo in opportunità politica.

Le iniziative economiche e fiscali sono il segno di un inaspettato mutamento ideologico, una specie di nuovo New Deal, che ha stupito anche la sinistra del partito democratico: più equilibrio, distribuzione della ricchezza, giuste aliquote fiscali. Il grande ritorno globale, commerciale e geopolitico dell’America incomincia dall’interno: da una società più equa e dai programmi di ricostruzione infrastrutturale.

E’ la premessa del ritorno della potenza americana sulla scena internazionale. Soprattutto nel confronto con la Cina. Pechino è il nuovo grande avversario globale ma non è l’Unione Sovietica e dunque servono strumenti diversi: non politiche di contenimento ma concorrenza. Più investimenti nella scienza e nella tecnologia, infrastrutture, catene distributive alternative e più efficienti. Il gigantesco stimolo interno da quasi duemila miliardi di dollari è anche uno strumento di politica estera.

Nei primi cento giorni di Joe Biden le basi di tutto questo sono state poste. Per smarcarsi dalle ambiguità di Trump, Biden ha anche affermato l’importanza del sistema di alleanze dell’America che Russia e Cina non hanno; e imposto i valori democratici dell’Occidente come strumento della diplomazia. Anche con parole tutt’altro che diplomatiche, come con Vladimir Putin l’ “assassino”, il presidente ha fatto capire ad amici e avversari che valori e interessi strategici o economici non sono alternativi ma parte del pacchetto che la sua America presenta al mondo. Fra principi e interessi si è già creato lo spazio per un positivo multilateralismo. La ricucitura con Nato e Ue, il ritiro militare russo dalla frontiera ucraina, l’incontro annunciato con Putin, il vertice virtuale sui mutamenti climatici accanto a Xi Jinping: in cento giorni non è un bilancio di poco conto.

  • peryourhealth |

    Biden had ordered the nation’s intelligence agencies three months ago to … US President Joe Biden to set target for 50% EVs by 2030; industry backs goal.

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