Dopo 1.001 giorni di prigione, torture e minacce, Mohammed bin Salman – bontà sua – ha ordinato la scarcerazione di Loujain al-Hathloul. Il principe ereditario saudita famoso per l’acronimo MbS, il disprezzo dei diritti umani e le iniziative civili o militari tanto grandiose quanto fallimentari, aveva fatto arrestare la giovane attivista per aver guidato un’auto nonostante fosse vietato alle donne. Divieto che poco dopo il principe aveva cancellato: probabilmente non tollerava che qualcuno avesse prima di lui un’idea intelligente.
MbS non è rinsavito, ha solo ricevuto una telefonata dal nuovo presidente americano. O, se Joe Biden non lo ha ancora chiamato come ha già fatto con Vladimir Putin e Xi Jinping, il principe ha capito che il più grande e insostituibile alleato dell’Arabia Saudita, ha cambiato spartito: niente bombe né aerei, no alla guerra nello Yemen, basta persecuzioni contro gli oppositori. Saud al-Qahtani, accusato da Loujain di aver assistito alle sue torture in carcere, aveva guidato la spedizione in Turchia per fare a pezzi il giornalista e oppositore Jamal Khashoggi.
Inaspettatamente, anche per molti dei suoi sostenitori, Joe Biden ha incominciato subito ad usare l’arma migliore, la più incontaminata dell’arsenale americano e dell’Occidente; del tutto ignorata nei quattro anni precedenti e non sempre apprezzata anche prima: i diritti umani. Ora che i cinesi hanno dimostrato che anche un sistema autocratico può arricchire i suoi sudditi, esiste un’altra risorsa più potente ed esclusiva che il sistema liberal-democratico possa mettere in campo?
I concorrenti globali come Cina e Russia, le potenze regionali come Turchia, Arabia Saudita e Iran, i bulli come i militari egiziani e birmani, non diventeranno migliori perché Joe Biden mette i diritti umani in testa alla sua agenda, ogni volta che parla con loro. Ma tutti, chi più, chi meno, stano adattando la loro. E’ un passo avanti.
Anche il contrasto tra valori e affari non troverà il suo giusto equilibrio. Ma se anziché cercare canne fumanti e mandare il 7° Cavalleria, la superpotenza americana rinuncia al lucrativo business di vendere F-35 agli Emirati, è un precedente che gli alleati – non solo gli avversari – non possono ignorare.
Per esempio. Nel suo piccolo Matteo Renzi era troppo impegnato a raccontare al paese e al mondo come stava salvando l’Italia, per spiegarci anche le ragioni del suo viaggio in Arabia Saudita. Mentre gli Stati Uniti (e anche Roma) chiudeva gli arsenali a Riyadh e premeva per la liberazione degli oppositori, Renzi elogiava “il Rinascimento” saudita e la capacità di mantenere basso il costo del lavoro in un paese che tratta gli immigrati come schiavi. Qualche settimana prima a Roma, alla commissione parlamentare, il senatore aveva anche sostenuto che gli egiziani avevano collaborato per far luce sul caso Regeni. Nulla paragonato a Emanuel Macron che aveva insignito Abdel Fattah al-Sisi della Legion d’Onore: nemmeno Donald Trump aveva fatto qualcosa di simile con MbS.
Mi piace pensare – ma non ci scommetterei – che d’ora in poi non si potrà più; che nessuno potrà dire “gli affari sono affari”. Non solo perché anche questi dovrebbero avere una modica percentuale di etica. Ma perché possiamo usare la nostra arma di distruzione di massa – i diritti umani – senza perdere i nostri affari. Russi e cinesi ruberanno qualche contratto ma re e dittatori hanno bisogno di noi più di quanto noi di loro.
Purché dietro a Biden gli europei siano a ranghi compatti sullo stesso “sentiero di guerra”. La missione di Josep Borrell a Mosca è stata inadeguata e penosa. Ma cosa poteva fare l’”Alto Rappresentante dell’Unione per gli Affari Esteri e la Politica di Difesa” (un caso da manuale per dimostrare che più lunga è la qualifica, più corti sono i poteri)? Come hanno ripetutamente dimostrato, Macron e Merkel pensano più agli affari che ai valori; l’Italia ha qualche dubbio in più ma sulla Russia tende a preferire i primi. Riguardo alle violazioni di Putin, la Polonia è rigorosissima ma le persecuzioni in Medio Oriente non possono interessarle di meno. E Cipro è affezionata al regime egiziano che tortura i suoi giovani ma è ostile alla Turchia che vuole il gas cipriota e l’isola divisa.
E’ per questa Europa incompiuta che non scommetterei sulle qualità taumaturgiche dell’arma dei diritti umani. Mi aspetto solo che grazie al vecchio e sorprendente Joe nei prossimi quattro anni – non mi spingo oltre – la diplomazia occidentale non dimentichi più di esibire la sua arma più potente.