“Non sono d’accordo con quello che dici ma sono pronto a dare la vita perché tu lo possa dire”. Ma quando mai? La frase attribuita a Voltaire (che invece fu della sua biografa inglese Evelyn Beatrice Hall) non è un atto di fede come “patria o morte”. E’ una suggestione, un principio, una difficile ipotesi di lavoro. La democrazia, soggetto di quel ragionamento così altruista, richiede invece di essere difesa anche con la forza, quando è necessario.
L’ipocrisia del sacrificio in nome delle idee altrui, l’ho sperimentata nel mio piccolo quando ero studente. Negli anni ’70, noi quattro gatti della sinistra gobettiana nella Gioventù Liberale, credevamo ingenuamente in quel principio. Intanto i gruppi dell’estrema sinistra monopolizzavano con la violenza ogni spazio politico nei licei e nelle università, permettendoci di parlare solo quando lo volevano loro. E i fascisti che a Milano erano pochi (diversamente da Roma dove erano troppi), reagivano con la stessa violenza.
Perdonate la digressione fino al liceo Carducci di Milano, per arrivare a Capitol Hill dove mercoledì inizierà la presidenza Biden. Una settimana fa il Campidoglio di Washington è stato l’esempio macroscopico di una grande verità: non si deve morire per permettere agli oppositori di parlare, perché sempre più spesso sono gli oppositori che impediscono agli altri di parlare, e a volte uccidono. Si deve invece vigilare in difesa dei principi di libertà, armati delle leggi e, quando queste lo prevedono, di fucile.
Mercoledì dovrebbe essere una giornata di festa per gli Stati Uniti: un momento di gioia per i vincitori, di riflessione sulle cause della sconfitta per gli altri: comunque di celebrazione di un sistema che garantisce l’alternanza democratica del potere. Invece sarà un giorno di mobilitazione generale, un 11 Settembre 2.0.
Il dispiegamento di 20mila donne e uomini della Guardia Nazionale chiamati a Washington, è più vasto delle forze schierate in Afghanistan, Irak e Siria. I riservisti sono stati mobilitati in altri 20 stati, per proteggere le sedi dei governi locali: ognuno dei 50 stati federati ha il suo Campidoglio. Secondo l’Fbi, le milizie locali armate fino ai denti grazie alla lobby dei produttori di armi e ai voti repubblicani, potrebbero assaltare, uccidere o rapire i governatori: sia democratici che i repubblicani “traditori” che hanno preso le distanze da Donald Trump.
A pochi giorni dalla fine dei quattro anni da incubo del suo potere, il presidente aveva finalmente invitato i suoi a desistere dalla violenza. Ma ancora una volta si è rifiutato di dire quella frase che più di ogni altra potrebbe fermarli: le elezioni le ha vinte Joe Biden. Niente brogli.
Il futuro presidente ha ragione nel chiedere che la procedura di impeachment non interferisca con i suoi primi decisivi cento giorni di governo. Prima di tutto bisogna ridare al paese la convinzione che alla Casa Bianca c’è un presidente che si occupa di pandemia, crisi economica e riforme. Ma ha avuto ragione anche la Camera dei rappresentanti a mettere agli atti la procedura d’impeachment: perché possa essere ripresa più avanti e impedire a Trump di ricandidarsi. E’ il minimo che si meriti. Che altro dovrebbe fare di peggio Trump per essere in qualche modo punito: attentare alla vita del presidente, cioè di se stesso?
Non illudiamoci che il Far West al quale stiamo assistendo, sia solo in America. Anche in Europa abbiamo colline del Campidoglio in pericolo. Scricchiolii preoccupanti si sono già sentiti. Un paio di mesi fa no-vax, negazionisti e neo-nazisti erano arrivati sulle scale del Reichstag di Berlino. E come definire i gilet gialli francesi che per mesi ad ogni week-end mettevano a ferro e fuoco Parigi?
L’arma più potente del sovranismo di Trump e di ogni regime illiberale, è la falsificazione della verità: le elezioni le ho vinte io, i democratici sono una setta di comunisti, satanisti e pedofili. Senza arrivare a questo ultimo estremo, anche la Brexit è un esempio di uso distorto della realtà. Per vincere il referendum Nigel Farage e Boris Johnson mentirono clamorosamente.
Come negli Stati Uniti, anche nella Ue alcuni mandanti della sedizione anti-democratica sono già dentro il palazzo: in Ungheria, Polonia e, in maniera meno smaccata, in qualche altro paese dell’Est europeo.
Da tutto questo libertà e democrazia si devono difendere con i principi e, quando necessario, anche con la forza: non offrendo al boia la nostra testa, ma reagendo alle falsità dei nostri avversari ideologici. Quello che accade negli Stati Uniti rincuora i nemici interni di ogni democrazia e i concorrenti esterni. Corea del Nord, Iran, Cina e Russia stanno già approfittando del grande disorientamento americano. E useranno i primi cento difficili giorni di Biden, concentrati nella risistemazione del paese, per guadagnare altre posizioni.
Una menzione speciale riguardo a ciò che un leader democratico non dovrebbe fare in questo duro scontro con chi – da dentro e da fuori – sfida le nostre libertà, la merita Angela Merkel. La cancelliera è piena di qualità, la più importante delle quali è riuscire a trasformare gli interessi tedeschi in interessi dell’Europa. Ha permesso a Ungheria e Polonia (piene di fabbriche tedesche) di aggirare lo stato di diritto imposto dalla Ue, e prendere i fondi comunitari. E’ stata la principale artefice del grande accordo commerciale europeo con la Cina, volutamente ignorando le difficoltà che avrebbe incontrato il neo-eletto Biden (per inciso, un alleato necessario nel confronto con la crescente aggressività cinese); contro il parere di molti tedeschi del suo stesso partito, non ha impedito a Gazprom la ripresa dei lavori del Nord Stream 2, che dovrebbe portare gas russo in Europa. Possiamo chiamarlo appeasement del XXI secolo.
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Allego i commenti pubblicati dal Sole 24 Ore prima e dopo l’assalto a Capitol Hill.