Vladimir Putin? “Una persona eccezionale”. Recep Erdogan? “Sono un grande fan”. Rodrigo Duterte? “Ha fatto un lavoro incredibile”. Con Kim Jong Un “ci siamo innamorati”. E Xi Jinping? “Presidente a vita… Penso sia grande. Forse dovremmo provarci, un giorno”.
Appare scontato che i grandi elettori di queste elezioni stiano dalla parte di Donald Trump: non quelli degli stati americani ma i dittatori e i populisti di tutto il mondo, uniti per sostenere e/o desiderare la sua rielezione. Quando lo ritrovano un americano così? Il presidente della prima democrazia d’Occidente che elogia i satrapi; il Commander in chief che ordina una ritirata militare e diplomatica della prima potenza.
In meno di quattro anni Donald Trump ha ordinato o minacciato l’uscita dall’accordo sul nucleare iraniano, da quelli di Parigi sul clima, dall’Unesco, dalla Trans-Pacific Partnership, dal Trattato sulle forze nucleari intermedie e dal Trattato Open Skies, dal Consiglio Onu per i diritti umani e dall’organizzazione mondiale per la sanità. La lista è incompleta. Nel dramma della pandemia il Who, l’ente globale per la sanità, non si è limitato a coprire le malefatte cinesi: ne ha anche elogiato il comportamento. Immaginatevi quanto il debole direttore generale Tedros Adhanom, dell’Etiopia, possa tener testa al potere cinese, senza il contrappeso politico della potenza americana. Il presidente Xi non può che essere pieno di riconoscenza per Donald Trump.
Eppure la questione che satrapi, dittatori e uomini forti siano i grandi elettori internazionali di Donald Trump, è forse più controversa, meno scontata di quanto non appaia. Prendete il nazional-populista Bibi Netanyahu. Donald Trump gli ha riconosciuto l’annessione delle alture del Golan, ha trasferito l’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme e ha firmato un piano di pace (“la pace del secolo”) nel quale Israele decide e i palestinesi osservano.
Bibi può avere tutto ciò che vuole da Trump. Invece non è proprio così. Quando l’ambasciata è stata trasferita a Gerusalemme, Netanyahu era certo che la città sarebbe stata dichiarata “indivisibile capitale del popolo ebraico”: Trump non lo ha fatto. Il premier israeliano si aspettava anche che la “pace del secolo” gli desse il via libera per estendere la sovranità a tutta la Cisgiordania. Non solo non è andata così ma quando, a giugno, Bibi ha annunciato l’annessione di un terzo dei Territori – consentito dal cosi detto piano di pace – è stata l’amministrazione Trump a imporgli di soprassedere.
O il caso di Xi Jinping, al quale Trump ha chiesto di comprare il grano del Mid-West per aiutarlo nelle elezioni, e contemporaneamente gli una scatenato contro una battaglia commerciale senza precedenti. Oppure quello del Nord-coreano Kim: prima Trump gli ha fatto credere di poter avere tutto, il suo arsenale nucleare e lo smantellamento delle difese militari della Corea del Sud. Poi ha lasciato cadere quello che era stato annunciato come un innamoramento.
E’ certo che qualche dittatore preferirebbe altri quattro anni con Donald Trump. Fra questi Mohammed bin Salman, il principe ereditario saudita: Joe Biden non ignorerebbe le sue pesanti violazioni dei diritti umani, né una politica regionale pericolosamente dilettantesca, quanto meno.
Con la maggioranza degli altri, l’eventuale presidente democratico apporterebbe correzioni anche importanti alla politica estera della precedente amministrazione. Ma comme il faut, prima di prendere eventuali posizioni forti, avvierebbe un nuovo dialogo con tutti: Putin, Xi, Erdogan, i cubani. In fondo Bibi Netanyahu sa che senza le improvvisate di Trump – per lui a volte positive – Joe Biden sarebbe come gli altri predecessori: comunque un presidente filo-israeliano.
Perché democratico o illiberale, sodale o concorrente, per un interlocutore del ruolo preminente dell’America nel mondo ciò che conta è la sua prevedibilità. Trump può far ottenere inaspettati vantaggi (più agli avversari che agli alleati) e minacciare repentine perdite come fanno gli uomini d’affari: ciò che Donald Trump effettivamente è.
“Non sono il tipico politico”, ha detto il presidente nell’ultimo faccia a faccia con Biden, ricordando che è per questo che quattro anni fa gli americani lo avevano eletto. Cose che possono accadere con l’elettorato domestico. Ma i grandi elettori internazionali sono meno imprevedibili e più aristocratici: per trattare o litigare, da politici si sentono a loro agio con i politici. Quello del businessman è un altro mestiere.