Sempre che il confronto fra Usa e Iran non precipiti, la settimana prossima a Gerusalemme ci sarà un incontro forse senza precedenti. Si vedranno i consiglieri per la sicurezza nazionale di Stati Uniti, Russia e Israele. John Bolton, Nikolay Patrushev e Meir Ben-Shabbat si confronteranno su futuro assetto della Siria.
Eccitati dall’essere finalmente cooptati nella definizione del futuro regionale, alcuni israeliani hanno chiamato l’incontro “nuovo Sykes-Picot”: si riferivano ai due alti funzionari che nel 1916 stabilirono le sfere d’influenza di Gran Bretagna e Francia nel Levante, il giorno in cui fosse crollato l’impero Ottomano.
Forse lo sperano anche alla Casa Bianca e più di un russo, illuso dagli importanti successi di Mosca in Medio Oriente, in questi anni. Per conto dei loro governi, Mark Sykes e François Georges-Picot agivano nel vuoto: eliminati gli ottomani, in quell’epoca coloniale “gli indigeni” non erano un’entità politica che contasse.
L’incontro di Washington è molto interessante ma se i partecipanti pensassero davvero di poter stabilire più di ogni altro il futuro del Medio Oriente, prenderebbero un abbaglio. Tolto Bashar Assad, il cui regime a Damasco non esisterebbe senza i russi, i veri protagonisti della regione sono ormai altri: la Turchia, l’Iran, l’Arabia Saudita e il suo pesce pilota emiratino, il piccolo ma ambizioso Qatar, relativamente l’Egitto. Sono sempre più i sauditi a dettare l’agenda agli americani e gli iraniani ai russi, che viceversa. Gli attori esterni possono influire (Putin molto più di Trump) ma illudersi di poter determinare, sarebbe come vedere l’ennesimo miraggio d’Oriente.
Un altro incontro carico di ambizioni della settimana prossima – e un’altra illusione – è il workshop economico nel Bahrein, dedicato ai palestinesi. L’ideatore è il First Son in Law Jared Kushner, le spese sono a carico di Mohammed bin Salman: a proposito del principe ereditario saudita, giusto qualche giorno fa gli investigatori dell’Onu hanno trovato nuove prove del suo coinvolgimento nell’assassinio di Jamal Khashoggi, il giornalista saudita fatto a pezzi l’anno scorso: “Esiste la prova sufficiente e credibile della responsabilità del principe”.
Nel workshop del Bahrein, Kushner svelerà la formula del mitico “accordo del secolo” promesso da Donald Trump da oltre due anni. I palestinesi avranno i soldi ma non uno stato, eventualmente continueranno a esercitare il controllo amministrativo di territori separati fra loro. I sauditi e i loro vassalli del Golfo saranno munifici in regalie e investimenti. Ma i palestinesi hanno rifiutato di partecipare e non manifestano alcuna fiducia nella “pace del secolo”.
La famiglia presidenziale di Washington si è molto offesa. Il giovane Kushner, ubristicamente passato dall’immobiliare alle costruzioni geopolitiche, ha detto stizzito di non essere certo che i palestinesi meritino piena sovranità o la libertà dall’occupazione militare israeliana (lui non ha usato la parla occupazione). David Friedman, l’ambasciatore Usa a Gerusalemme – non proprio un honest broker – ha aggiunto che Israele ha il diritto di annettere parti della Cisgiordania.
Forse pensando a Sykes e Picot, le parole di Kushner non sono per Hanan Ashrawi “solo il riflesso di una mentalità razzista e coloniale: è una mancanza di comprensione” della questione palestinese. Ad Ashrawi, una delle leader palestinesi, negoziatrice della prima ora del processo di pace, la settimana scorsa è stato negato il visto d’ingresso negli Stati Uniti. A chi ha tendenze sovraniste dico subito che Hanan è cristiana e da giovane ha studiato in America. E’ sempre stata convinta della soluzione dei due stati come tutti i presidenti degli Stati Uniti, che lei ha incontrato, da Bush padre a Obama.
Una delle ambizioni dell’attuale amministrazione è cambiare l’attuale leadership dell’Autorità palestinese. Che sia vecchia, inefficace e spesso corrotta, è sotto gli occhi di tutti. Ma sono moderati, sono un argine fra l’occupazione israeliana e la rabbia montante di un popolo lasciato senza speranze.
Anche pensare di trovare leader palestinesi accondiscendenti, è un miraggio d’Oriente. Ma ancora di più lo è la convinzione che basti farli star meglio economicamente per continuare la lenta annessione israeliana. Era stata anche la tentazione degli accordi di Oslo: in attesa che si raggiungesse la pace politica, fu migliorata la loro condizione economica. Poi nel 2000 è saltato tutto ed è iniziata la seconda Intifada senza che la crescita del Pil palestinese fosse un deterrente. Mai l’economia era andata così bene in Cisgiordania, ma prima di questo i palestinesi volevano uno stato.
Oggi è lo stesso. Anzi, peggio. Perché Kushner, la cui famiglia finanziava un’organizzazione radicale di coloni, ha eliminato dall’orizzonte la soluzione dei due stati. “La questione non sono i soldi. La questione è l’occupazione”, ricorda Anan Hashrawi, cercando inutilmente di salvare gli americani dal loro ennesimo miraggio d’Oriente.
Intanto a Gerusalemme il nuovo ministro della Giustizia dice che non è così necessario rispettare tutte le deliberazioni della Corte suprema israeliana. E nel suo gabinetto ad interim (si rivota a settembre con ampie possibilità che non cambi nulla) Bibi Netanyahu ha dato il dicastero dell’Educazione e la gestione dei Territori occupati a due estremisti religiosi razzisti. Mutatis mutandi, sarebbe come se nel governo iracheno entrasse l’Isis.