Non illudetevi che Donald Trump e Matteo Salvini abbiano cambiato idea, il primo liberando più di 2.300 bambini latinos dalle gabbie, il secondo rinunciando a schedare i rom. Si sono momentaneamente adattati ai sondaggi e a qualche regola per ora inevitabile come la pietà umana, le leggi statali e le Costituzioni. Quello che dicono e a volte riescono a fare, è parte del loro DNA.
E’ innegabile che i problemi posti dai due capipopolo/statisti presunti meritino di essere affrontati. L’emigrazione incontrollata è ormai impossibile e quella controllata deve essere ridimensionata; la civiltà dell’accoglienza deve confrontarsi con il realismo (l’effettiva capacità di integrazione) e con la progressiva modifica in peggio del profilo politico di tutti i paesi occidentali. In un certo senso i successi elettorali di Donald Trump e Matteo Salvini sono la prova evidente di quanto il fenomeno migratorio spaventi la gente più della sua effettiva gravità.
Il Senegal, per esempio, ospita molti più profughi dei paesi circostanti di quanti africani, arabi e asiatici siano arrivati in Italia. In Libano e Giordania i fuggiaschi venuti dalla Siria sono un terzo degli abitanti dei due paesi. Da noi In Italia rom e sinti sono 180mila (in Spagna sono 650mila, in Romania 620mila, in Francia 500mila), la metà dei quali con cittadinanza italiana. Quelli “purtroppo te li devi tenere”, ha commentato Salvini. La gran parte degli altri sono cittadini europei o apolidi. Come pensi il ministro degli Interni di deportarli, è un mistero anche formale oltre che un’aberrazione.
Trovando modalità costituzionali è utile censire le loro attività, i bambini in età scolare, eccetera. Sarebbe interessante e utile indagare anche su quanti rom e sinti italiani non riescono a inserirsi perché viene negata l’assunzione o una casa da amministratori leghisti e non solo. O sapere se ci siano “zingari” fra i 13mila evasori totali appena scoperti dalla Guardia di Finanza.
I problemi di accoglienza e/o d’integrazione esistono. Ed è chiaro l’effetto politico che questi temi provocano dalla California alle piantagioni di pomodori nel Casertano. Inaccettabile è il modo col quale i nostri due eroi transatlantici e altri precursori ed epigoni del vecchio continente, pensano di risolvere problemi reali. Il concetto che li lega è una specie di difesa della razza: della civiltà occidentale o di quella nazionale. Quando Trump sostiene che i migranti “infestano” l’America bianca e cristiana, e Salvini dice sbuffando che i rom italiani siamo costretti a tenerceli, il razzismo non è un’ipotesi ma un dato di cronaca. A mio parere non c’è profugo o migrante economico che possa mettere in pericolo i valori fondamentali dell’Occidente, quanto Trump e Salvini.
Non è casuale che i primi a denunciare la gravità di questi comportamenti siano stati gli ebrei: loro hanno una certa sensibilità dettata dall’esperienza, quando in una società civile si manifestano fenomeni preoccupanti d’intolleranza. Su “Forward”, il più importante magazine degli ebrei d’America, Aviya Kushner scrive che “caratterizzare la gente come parassita, storicamente è stato l’anticipazione di omicidio e genocidio”. Così anche la comunità ebraica italiana ha denunciato le dichiarazioni di Salvini sui rom. Oltre a ricordare che comunque si affronti la questione, i migranti sono prima di tutto persone, le comunità ebraiche hanno colto più di noi altri che dopo i negri, i musulmani e i rom, ora in testa alle classifiche del razzismo internazionale, prima o poi vengono sempre i “giudei”.
Viktor Orbàn che è molto più avanti di Trump e Salvini, ci è già arrivato, demonizzando George Soros che è un ebreo di origine ungherese. Last but not least, l’ultima da Budapest è la cancellazione di Billy Elliot dal cartellone del teatro nazionale, dopo una campagna di stampa condotta dai giornali vicini a Orbàn. La ragione è che la storia del bambino inglese figlio di un minatore, determinato diventare ballerino di danza classica, incoraggia i bambini ungheresi a diventare gay.