Ancor più che negli anni passati, sarà interessante vedere quanto siamo vicini alla “mezzanotte nucleare” secondo il Bulletin of the Atomic Scientists dell’Università di Chicago. Il loro “Doomsday Clock”, l’orologio del giorno del giudizio, è ormai un appuntamento tradizionale per le nostre paure.
Da qualche anno le cose vanno comprensibilmente peggiorando. Nel 2010 le lancette erano a sei minuti dalla mezzanotte, nel 2016 a tre e l’anno scorso a due minuti e mezzo. Lo stato dell’arte nel 2018 sarà reso noto fra qualche settimana ma non è difficile prevedere che ci avvicineremo ancora di più all’ora zero. Sono due le grandi minacce alla sopravvivenza dell’umanità: una guerra nucleare e i mutamenti climatici. Se dei secondi finalmente si parla molto, della prima tendiamo a ignorarne la possibilità. E’ un processo di rimozione: ci convinciamo che gli ordigni siano troppo potenti perché qualcuno decida di usarli, non che se esistono prima o poi qualcuno sarà tentato di farlo.
Con una sola foto, il papa ci ha riportati alla realtà. Ma non crediate che la penisola coreana sia l’unico punto caldo. L’onanistico confronto fra Kim Jong-un e Donald Trump su chi possiede il bottone nucleare più grande, per quanto pericoloso, è avanspettacolo. In fondo Kim ha capito che senza la minaccia nucleare il regime sarebbe stato abbattuto già ai tempi del suo papà. Per ulteriori informazioni, chiedere agli eredi di Saddam Hussein.
La vera grande minaccia nucleare viene da Donald Trump (lui non manca mai) e Vladimir Putin: dall’immaturo e impulsivo know-nothing di Washington e dal megalomane imperialista di Mosca. Testata più, testata meno, insieme fanno una decina di migliaia di ordigni di varia natura per modalità di lancio, gittata e potenza: il 93% degli arsenali nucleari mondiali.
Dopo aver congelato ogni trattativa sulla riduzione delle testate, gli americani e i russi stanno investendo miliardi nello sviluppo tecnologico del nucleare militare. Offesi dalle vicende ucraine e desiderosi di vendetta per le sanzioni economiche dell’Occidente, i russi hanno di nuovo posto l’arma atomica al centro del sistema di sicurezza nazionale. Più del Medio ed Estremo Oriente, è l’Europa il loro primo obiettivo strategico. Nell’ipotesi di un conflitto convenzionale, per spaventare gli avversari, Mosca minaccia di usare bombe atomiche a basso potenziale.
Ed ecco che in questa pericolosa realtà, arriva il Dottor Stranamore. Verso metà febbraio gli Stati Uniti pubblicheranno la loro “nuclear posture review”, cioè come dovrebbero essere usate le armi atomiche. E’ stato l’UffPost ad anticiparne i dettagli. https://www.huffingtonpost.com/entry/trump-nuclear-posture-review-2018_us_5a4d4773e4b06d1621bce4c5 .
Era dal 2010 che non veniva fatta una revisione dell’atteggiamento nucleare americano. Apparentemente in quest’ultima versione non ci sono grandi differenze con l’epoca di Barack Obama. In alcuni importanti dettagli invece si. Per contrastare l’aggressività russa in Europa, si propone di sviluppare “nuove capacità”. I missili da crociera lanciati dai sommergibili che otto anni fa Obama aveva cancellato, progressivamente torneranno in linea. Ma il punto più importante è la modifica di un “piccolo numero” di testate strategiche in bombe meno potenti.
La logica che sottintende – drammaticamente uguale a quella russa – è la constatazione che un ordigno strategico sia troppo distruttivo per essere usato: uno solo può radere al suolo l’area metropolitana di New York o di Mosca. Meglio dunque avere bombe meno potenti: “diet nuke”, come la Coca-Cola senza zuccheri. Per dare un’idea di cosa s’intende per atomica dietetica nel XXI secolo, la sua potenza è simile a quelle di Hiroshima e Nagasaki.
Quello russo-americano è il primo serio tentativo dell’era nucleare di abbattere quella condizione morale che rendeva altamente improbabile l’uso della bomba. Viene progressivamente meno il terrore della mutua distruzione che è stato il principale deterrente della Guerra fredda.
La corsa al riarmo – se non nel numero, nella qualità tecnologica e strategica – legittima le ambizioni nucleari di Kim, giustifica gli iraniani e libera dai loro obblighi decine di paesi che per ambizione o insicurezza geopolitica potrebbero ambire alla bomba. Il sistema internazionale si fonda sul Trattato per la non-proliferazione del 1968. La sua struttura legalizza gli arsenali delle cinque potenze vincitrici della Seconda guerra mondiale (Usa, Russia, Cina, Francia e GB), li vieta chiunque altro e mette del tutto teoricamente fuori legge i quattro trasgressori (India, Pakistan, Israele e Nord Corea). E’ un palese squilibrio. Ciò che lo mitiga è l’articolo VI del trattato che obbliga le cinque potenze – cioè i controllori – a disarmare progressivamente.
Per anni è stato fatto: dai tempi della Guerra fredda, Usa e Urss/Russia hanno ridotto gli arsenali dell’85%. Ora hanno riportato il mostro in prima linea; i cinesi continuano silenziosamente ad aumentarne la forza; francesi e inglesi non danno alcun segno di riduzione. Mi infastidisce giustificare Kim Jong-un che in fondo cerca di sopravvivere in un mondo di lupi: sebbene tema che passate le Olimpiadi ricomincerà a provocare. Ma la vera minaccia viene da coloro che dovrebbero vigilare su quel mondo e che invece ne sono i lupi.
La vignetta che pubblico insieme a questo post mi è stata mandata da Franco Grossi, un gentile follower di Twitter.
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