Bashar Assad, il macellaio buono

Obama putin2Come folgorato sulla via di Damasco, Bashar Assad è diventato l’uomo della pace, l’unico che possa risolvere il conflitto in Siria. Dopo averla repressa o ignorata, ora propone di dare voce alla volontà popolare. E la sua portavoce Buthaina Shaaban invita l’Occidente, accusato dal suo capo di essere lo sponsor del terrorismo islamico, a partecipare finalmente a una grande coalizione internazionale per sconfiggere l’Isis.

Ciò che colpisce non è Assad, abituato come suo padre a vendere all’opinione pubblica mondiale vittorie elettorali col 95% dei consensi. Stupisce piuttosto che un numero crescente di persone, di opinionisti, di partiti se non di governi in Europa, credano all’ultima versione di Bashar Assad: “male minore” fra i protagonisti del conflitto siriano, in alcuni casi perfino vittima delle circostanze. All’affermazione del “Buon Assad” hanno aiutato le immagini dei terroristi dell’Isis che sistemavano le casse di esplosivo fra i resti di Palmira, appena conquistata. Proprio quel giorno, non molto lontano da lì, gli elicotteri del regime scaricavano sulla popolazione bidoni pieni di tritolo, uccidendo più di cento civili. Ma la nostra attenzione era comprensibilmente sullo scempio di Palmira.

Bashar Assad è il nemico che conosciamo, per quanto sia un dittatore parla una lingua politica che comprendiamo. Nel mosaico levantino il suo è un regime “laico”: promuove la minoranza alawita che è la base del suo potere, ma protegge le altre minoranze come quelle cristiane. L’Isis è come il nazismo, una specie di male totale col quale non è possibile trovare punti di contatto, il suo linguaggio politico è medievale. E’ comprensibile che la gente sia spaventata dall’Isis e per semplificare, sia alla ricerca di un buono da contrapporre al super cattivo in questa storia tragica e incomprensibile.

La coalizione internazionale che propone Buthaina Shaaban per mondare le colpe del regime, sarebbe certamente utile per sconfiggere l’Isis. Ma non porrebbe fine alla guerra civile siriana, ne aprirebbe solo un nuovo capitolo. Il crollo dello stato islamico non eliminerebbe la minaccia più vasta del jihadismo e del settarismo religioso, ormai radicati nella regione. Inoltre l’origine della guerra civile siriana e il proposito di molti che la combattono, è far cadere anche Bashar Assad. Dunque non smetterebbero di lottare dopo l’eliminazione dell’Isis.

I profughi che caparbiamente raggiungono le coste europee, che camminano nelle nostre strade, raggiungono le nostre città, sfidano il razzismo ungherese, fuggono in uguale misura dall’Isis e dal regime di Bashar. L’uno e l’altro si contendono il primato sul numero delle vittime civili uccise in Siria. Bashar Assad, dunque, non è la soluzione ma parte del problema; è il macellaio buono, se così si può dire, rispetto al macellaio cattivo islamista. Non sarebbe corretto affermare, come dicono i Fratelli musulmani, che l’Isis è stato creato dal regime. Ma certamente ne è un sottoprodotto, una conseguenza dei suoi comportamenti, a partire dal marzo 2011 quando, sparando sulla folla, trasformò in lotta armata una protesta civile; quando ha dato allo scontro un carattere settario (sciiti contro sunniti), molto prima che lo stato islamico prendesse corpo; quando ha evitato offensive militari contro l’Isis che combatteva contro le altre milizie opposte ad Assad. In questo conflitto tutti hanno usato il califfato, pur combattendolo: sauditi, Emirati, Qatar, turchi. Anche il regime siriano.

La convinzione del regime di Damasco di sopravvivere al conflitto è il frutto della presenza russa sempre più visibile in Siria. Ma è difficile che Vladimir Putin stia facendo tutto questo per Bashar Assad e non per avere una visibilità sempre più marcata nella regione: per essere protagonista al tavolo del negoziato sulla pacificazione siriana che con pazienza tesse l’inviato Onu Staffan de Mistura, come lo è stato in quello sul nucleare iraniano. Se per noi l’Isis è una minaccia mediorientale, per Mosca è un pericolo immediato nel Caucaso e nelle repubbliche asiatiche ex sovietiche. Stati Uniti ed europei non sono contrari a un ruolo russo nella regione: ne accettano la presenza e, da tempo, si chiedono se possa ancora tenere la pregiudiziale contro il regime siriano le cui truppe non sono mai state bombardate dalla coalizione. Assad, dunque, sopravvivrà all’Isis, più difficilmente alla pace in Siria, se mai ce ne sarà una.

 

Allego il commento uscito oggi sul Sole-24 Ore

OBAMA, PUTIN E IL NUOVO ORDINE MONDIALE

 

 

Con l’inseparabile borsa porta documenti e la semplicità rivoluzionaria del suo messaggio, il papa arriva all’Avana, e dopo qualche giorno visiterà Washington. Fosse o no questa una delle ragioni del viaggio, Francesco rafforzerà le scelte sovvertitrici di un ordine mondiale obsoleto fatte da Barack Obama. Ma il riavvicinamento a due antichi nemici, Cuba e l’Iran, non basterà per dare consistenza all’eredità di una politica estera di luci e ombre – entrambe intense – se non ci sarà il ritorno alla collaborazione con la Russia.
Quando ha constatato che «l’amministrazione Obama dimostra di essere il migliore amico dei suoi nemici e il più grande nemico dei suoi amici», il commentatore israeliano Ari Shavit, non voleva essere generoso. Ma involontariamente ha svelato la principale qualità di un presidente al quale resta poco più di un anno alla fine del mandato e molto meno prima di diventare un lame duck, un’anatra zoppa, un inquilino in attesa di trasloco dalla Casa Bianca. Cioè, la capacità di saper guardare oltre il tema del giorno ma cercare di riorganizzare il mondo partendo dalla ridefinizione della potenza americana. Obama «è un liberale ideologico con un temperamento conservatore», scrive su Foreign Affairs il direttore Gideon Rose. «Uno che dopo un periodo di avventata sovraesposizione e unilateralismo belligerante, pensa che gli obiettivi a lungo termine della politica estera del paese possano essere meglio perseguiti con un ripiegamento a breve termine».
Dopo essere rimasti l’unica superpotenza mondiale, con la caduta del Muro e dell’Urss, gli Stati Uniti hanno dimostrato di non sapere cosa fare di questo immenso potere. Nel 1992, la prima strategia per la sicurezza nazionale elaborata dall’amministrazione Clinton si poneva l’obiettivo di «allargare la comunità delle democrazie di mercato, contenendo una gamma di minacce alla nostra nazione, ai nostri alleati, ai nostri interessi». Orizzonti piuttosto generici. Poi, colpiti dal più feroce attacco terroristico della storia, gli americani persero la testa, applicando una forma d’imperialismo fuori tempo massimo, nel XXI secolo. Paul Wolfowitz il teorico dei neocon repubblicani, sosteneva che ogni impero ha un apogeo e una decadenza; quello americano era al suo culmine e doveva approfittarne prima che iniziasse il declino. Ora, rinunciando all’interventismo militare nonostante il crescere delle minacce regionali, e riducendo le priorità globali – sul piano politico, non economico – Obama certifica che il mondo unipolare non funziona.
La sintesi più chiara della proiezione del potere americano in Medio Oriente negli ultimi 15 anni, la offre Phil Gordon, fino a qualche settimana fa assistente speciale del presidente per quella regione: «In Iraq siamo intervenuti e abbiamo occupato, il risultato è stato un costoso disastro; in Libia siamo intervenuti ma non abbiamo occupato e il risultato è stato un costoso disastro; in Siria non siamo intervenuti né abbiamo occupato e il risultato è un costoso disastro». Occorre dunque un direttorio, un concerto delle nazioni, un nuovo ordine globale. Cuba e Iran sono utili ma non centrali alla costruzione dell’impresa. La Russia lo è.
A parte alcuni falchi del Pentagono e il partito repubblicano incapace di pensare oltre gli slogan elettorali, gli americani e gli europei riconoscono il ruolo della Russia. Il problema è Vladimir Putin con i suoi comportamenti. Ma questo è ciò che passa il grande paese con nove fusi orari e, dallo zar Pietro in poi, una bruciante ambizione di essere al centro della storia. A parte Gorbaciov e Eltsin, tutti gli altri segretari generali con i quali hanno avuto a che fare gli americani nell’alternanza di geli e disgeli, non erano migliori di Vladimir Vladimirovich.
La salvezza di Bashar Assad è irrilevante nella decisione russa di aumentare la presenza in Siria. Conta di più la lotta all’Isis e, ancora più di questo nemico la cui minaccia è stata volutamente enfatizzata, conta il ritorno russo in Medio Oriente a un livello determinante quanto l’americano, come trent’anni fa. E conta perché dietro la Siria, l’Iran e l’Isis, c’è una soluzione per l’Ucraina alla quale è molto più interessata la Russia dell’America, se Putin evita provocazioni militaristiche alle quali l’Occidente è costretto a reagire. Nessuno chiederebbe la restituzione della Crimea se fosse mantenuta l’integrità territoriale dell’Ucraina in un quadro istituzionale concordato. Più dell’autonomia delle province filo-russe, servirebbe una finlandizzazione dell’Ucraina. Durante la Guerra fredda il congelamento geopolitico di Finlandia e Austria non impedì ai due paesi di crescere in economia e democrazia. Sarebbero questi, Levante e soprattutto Ucraina, i pilastri sui quali costruire un nuovo ordine mondiale condiviso. È dunque auspicabile che Obama e Putin ricomincino a parlarsi.
Ugo Tramballi

 

  • Reda Hammad |

    Signor Tramballi sembra un giornalista della Pravda in salsa USA. Bisogno essere completamente senza pudore per scrivere simili falsità e, peggio ancora, idiozie.
    Un nemico intelligente è sempre meglio di un amico deficiente.
    Continui pure col suo delirio che, a giudicare dai commenti intelligenti di alcuni lettori, potrebbe convincere solamente i suoi compagni di osteria.

  • GiorgioG |

    Uno dei tanti esempi di giornalismo di propaganda, a leggerlo sembra che le veline vengano direttamente dal Pentagono; 4 anni in cui si arma, si finanzia, si addestra e si manda al fronte di tutto e chiunque possa imbracciare un fucile, 4 anni nei quali l’occidente (USA Francia, UK in particolare) han dato via libera agli alleati regionali, turchia in primis, per far passare qualunque avanzo di galera in siria e spacciarlo come democratico rivoltoso …4 anni in cui i giornalisti italiani (ma i veri giornalisti dovrebbero querelarmi) scrivono pezzi falsi, inventati, spesso riportati dalle fonti + farlocche, tutti buoni se dicono che Assad è cattivo e i ribelli buoni e bravi ..stesso copione già visto in libia eppure riuscite a non provar vergona x il vostro lucido e attivo appoggio a questo disastro ..meritate il premio pulizer al cinismo!!

  • Marco Rosini |

    Vedo dai commenti dell’articolo un ulteriore segnale della crescente voglia e capacità di sganciarsi dalle propagande, dalle etichette frettolose e stantie. Nessuno vuole santificare Assad, oppure Putin, ma i lettori e i cittadini ne hanno le tasche piene di farsi prendere per il naso, di sentirsi raccontare la favola dell’orso. Sarà il caso che i giornalisti se ne facciano una ragione, e alzino il livello del discorso. Qui di sicuro non ci siamo.

  • perspicace |

    Giornalismo o propaganda? Quale lo scopo dei media nel terzo millennio? Da che mondo e mondo tutti sanno che le guerre combattute a suon di bombe e solo bombe non portano ad altro che distruzione e destabilizzazione. Le guerre si vincono sul campo con truppe e truppe di uomini armate di fucili. Le guerre si vincono con il sangue degli eroi. Diciamocela tutta gli USA vedono nell’UE un competitor commerciale, nella Russia un competitor militare quindi quale sono i loro interessi? si sa quali sono. Loro, gli USA, hanno interesse a che non nasca mai l’Eurasia Unita il loro peggior incubo da sempre, ecco perché la destabilizzazione della Via della Seta, e quindi del cuore dell’Eurasia il medio-oriente. Finché si lascerà scegliere agli USA il destino dell’Eurasia quello che continueremo a vedere sarà il caos. I’Ordine mono-polare ha fallito, ed ha fallito perché ha difeso gli interessi di una sola parte, è arrivato il tempo di un mondo multipolare.

    L’isis è una minaccia per l’Eurasia e verrà sconfitta solo quando gli eserciti dell’Eurasia si muoveranno per stabilizzare tutta la Via della Seta, UE Russia e Cina solo l’unica soluzione per i problemi causati da chi ha cuore la destabilizzazione dell’Eurasia, il caos terminerà quando le tre maggiori potenze Euroasiatiche muoveranno i loro eserciti per un obbiettivo comune, la stabilizzazione del medio-oriente e della Via della Seta.

    Il secondo step sarà la ricostruzione delle infrastrutture fisiche e culturali su cui poggia la nostra società e i nostri commerci.

    Ma deve essere chiaro che finché chi decide i destini di questo continente non è di questo continente ma risiede dall’altra parte dell’oceano non ci sarà mai pace ne ancor più prosperità per noi popoli eurasiatici.

    Eurasia unita Eurasia libera via gli eserciti non eurasiatici dal nostro continente.

  • guido sartorio |

    Ritengo che prima di scrivere la parola “macellaio” sarebbe più corretto pensarci un momento. Recentemente abbiamo visto che eliminare Dittatori provoca mattanze ben peggiori con tanta soddisfazione dei produttori di armi, di bombardieri e di diavolerie di questo genere e sorrisi di generali e di piloti mastica gomma.

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