Gli Stati Uniti di Barack Obama sono una democrazia; difficile definire esattamente cosa sia la Russia di Putin. L’America sta rimettendo in sesto la sua economia, i russi no. E comunque gli Stati Uniti restano il primo Paese al mondo nelle startup, il primo nella produzione hi-tech, la prima industria manifatturiera e la prima agricoltura; la Russia produce solo energia, esporta armi (mai quanto gli Usa) e ha un immenso arsenale nucleare.
Eppure, in Medio Oriente l’America è come una vecchia potenza appesantita da veti, divieti, alleanze che essa stessa ha creato. Il Congresso che è un’assemblea elettiva, simbolo supremo della sua democrazia, nell’esercizio della politica estera è una palla al piede per l’esecutivo. A volte, perfino i valori fondamentali dello Stato diventano steccati insormontabili per l’affermazione dell’interesse nazionale americano.
Al contrario la Russia ha la flessibilità di una nazione giovane e furba. Sebbene sia una realtà irriformabile e continui a coltivare idee antiche e obsolete come la Grande Russia europea e la Guerra fredda. Non solo in queste ultime settimane, il Medio Oriente è l’esempio più lampante di queste differenze.
Prima o poi, probabilmente presto, si
cercherà di tornare al negoziato di pace per la Siria, a una Ginevra 2. I russi
vogliono che vi partecipi anche l’Iran, gli Stati Uniti no. Sanno che gli
iraniani sono parte in causa e che senza di loro non ci sarà mai soluzione alla
guerra civile siriana. Ma per una questione di principio, rinnegano l’evidenza.
I russi la cavalcano. Neanche loro vogliono avere ai confini un’altra potenza
nucleare, tuttavia non hanno mai smesso di dialogare con Teheran.
Rinunciando all’evidenza che “la pace si
discute con i nemici, non con gli amici” (il copyright è di Ezer Weitzmann,
quando era ministro della Difesa d’Israele), gli Stati Uniti non parlano con
l’Iran, con la Siria, con Hezbollah né con Hamas palestinese: i suoi principali
avversari della regione. La Russia si: parla, trama, si accorda con tutti. Eccetto
le opposizioni siriane, non ha nemici dichiarati. Dialoga con l’Iran sciita e
l’Arabia Saudita sunnita. Nonostante in Cecenia abbia commesso brutalità
inenarrabili contro i musulmani, non è un palese obiettivo dell’internazionale
qaidista. In Afghanistan e in Iraq, le basi principali dell’islamismo radicale,
ha sempre lasciato fare il lavoro sporco agli americani, limitandosi a volte a
un tenue supporto logistico.
Più di ogni altro, è Israele il grande limite
della politica americana in Medio Oriente. Qualsiasi cosa faccia l’America a
favore degli arabi, gli stessi arabi denunciano quello che l’America fa a
beneficio di Israele. Al Cairo sia i militari golpisti che i Fratelli musulmani
si vantavano di aver sventato un complotto ordito dall’America e da Israele
contro l’Egitto. Anche se, in tempi diversi, entrambi hanno beneficiato
dell’aiuto americano.
Nemmeno i siriani dell’opposizione rinunciano
ad accusare gli Usa di preferire Israele a qualsiasi legittima rivendicazione araba.
E hanno ragione: a Washington lo hanno sempre affermato. L’errore più grave di
John Kerry, quando sosteneva l’urgenza di punire il regime, è stato di
dichiarare che una delle ragioni più importanti del bombardamento la sicurezza
d’Israele.
La Russia no. Ha promesso di armare l’Iran
con missili che potrebbero vanificare un eventuale attacco aereo israeliano ai
siti nucleari. Nonostante questo ha con Israele un rapporto unico, che nemmeno
gli Stati Uniti possono vantare: più di uno dei sei milioni d’israeliani ebrei,
sono nati in Unione Sovietica. I russi c’erano anche prima della grande immigrazione
all’inizio degli anni ’90: una parte cospicua dei fondatori d’Israele erano
socialisti e comunisti fuggiti dalla Russia zarista.
La civiltà russa è una parte fondamentale
della cultura moderna d’Israele. Se vi capitasse di andare a Katzrin nel Golan
o ad Ashdod sul Mediterraneo, scoprirete due città russe. Quando era ministro
degli Esteri, Avgdor Lieberman, venuto dalla Moldavia, aveva coltivato l’idea
di sostituire l’America con la Russia di Putin, un suo mito politico, come
alleato principale. Per Barack Obama, coraggioso liberal nato alle Hawaii, non
c’è partita.
ISPI. Di tutto questo e di altro ancora Alessandro
Colombo dell’Università Statale di Milano, esperto di Stati Uniti, e Aldo
Ferrari di Ca’ Foscari Venezia, esperto di Russia, parleranno con me lunedì 16
alle 18 a Palazzo Clerici, sede milanese dell’Ispi. “Focus Siria: Obama Vs
Putin” è il tema della tavola rotonda.