E’ stato bravo e pacato, amichevole e duro come ci si aspetta sia un commander in chief. Se perderà – il rischio che vinca resta possibile fino alle ultime ore del 6 di novembre – quella dell’altra notte a Boca Raton sarà ricordata come una bella uscita di scena di Mitt Romney.
Il candidato repubblicano ha fatto una così bella figura perché mai come nell’ultimo dibattito sulla politica estera, aveva cercato di assomigliare a Barack Obama. Se sei uno sfidante non puoi dire in mondovisione così tante volte “sono d’accordo con il presidente”. Alla fine la gente si tiene l’usato sicuro.
Smentendo quello che lui stesso andava dicendo da mesi, soprattutto durante le primarie del suo partito nelle quali la corsa era ad essere il più di destra, Romney ha spiegato che se sarà presidente non coinvolgerà truppe americane di terra né di cielo in Siria: la strada è aiutare l’opposizione amica degli Stati Uniti. Bravo, è quello che sta facendo Obama. Sull’Afghanistan, quando sarà presidente, Romney continuerà il ritiro delle truppe, rafforzando il governo di Kabul: giusto, come Obama. Si, la Cina gioca sporco con il cambio dello yuan, ma si dovrà collaborare perché è un grande Paese: sono quattro anni che il presidente democratico la pensa così.
Come avevamo già rilevato qualche post fa, una volta per sempre Mitt Romney ci ha fatto capire che non esiste alternativa alla politica estera di Barack Obama, quella del dialogo. L’unica variante sarebbe l’esatto opposto: il militarismo, altre avventure in terre straniere, nuovi e pazzeschi investimenti. Gli stessi dell’amministrazione Bush che a Obama ha lasciato in eredità una voragine di bilancio. Non si può più fare, i soldi sono finiti. Ma l’America resta l’unica potenza politica, economica e militare, capace di impegnarsi in ogni angolo del mondo.
Nel dibattito elettorale Obama l’’ha definita
“Una delle nazioni più indispensabili”: una definizione più riduttiva della
“nazione indispensabile” punto e basta, coniata da Madeleine Abright,
segretario di Stato del secondo mandato di Bill Clinton. Se vuoi essere utile a
te stesso e al mondo, usi la minaccia delle armi o la persuasione del dialogo.
Perfino con l’Iran.
Per noi, come alleati interessati ai
comportamenti americani nel mondo, a questo punto potrebbe andar bene perfino
Mitt Romney: in Massachusetts è stato un buon governatore. Ma a partire dal suo
giovane vice, una specie di giansenista
cattolico che sa usare i media, quale squadra si formerebbe attorno al
presidente Romney? Se ci permettete, cari americani, grazie no: abbiamo e avete
già dato. Vi proponiamo di tenere l’usato sicuro: è stato un po’ deludente ma
complessivamente ha ridato all’America una dignità internazionale che si era
persa. Ne avevate bisogno. Ne avevamo bisogno anche noi. Per quanto alla fine sia
l’economia e non la politica estera che elegge il presidente degli Stati Uniti,
andando a votare fra due martedì, per favore, votate anche per nostro conto.