Morsi ha fretta di ridare voce all’Egitto

Anche i suoi elettori lo chiamavano "pezzo di ricambio". Non doveva essere lui il presidente degli egiziani, secondo i programmi degli stessi Fratelli musulmani. Nel caos egiziano di quei giorni le cose sono andate diversamente e Mohamed Morsi è diventato il primo presidente democraticamente eletto, senza un precedente negli ultimi 7mila anni di storia.
Il pallido leader di transizione, quello che doveva essere la ruota di scorta di Khairat al-Shater – la prima scelta della fratellanza – si è trasformato in un vulcanico decisionista. Ha sistemato il generale Tantawi e la sua giunta di transizione, ha formato un nuovo governo; ignorando l'ostilità dei militari, ha aperto al Fondo monetario internazionale, dando qualche segno concreto di una nuova e più aperta politica economica. Al Cairo sta anche sistemando i suoi in settori sensibili, con una certa continuità comportamentale con il passato regime: giornali, televisioni, enti, ministeri, sollevando qualche sospetto sulla sua promessa di un Egitto aperto. 
Forse è presto per capire se il profilo che sta prendendo forma sia quello di un Morsi statista o islamista. Quello che dice Giulio Terzi, il nostro ministro degli Esteri, dopo averlo incontrato ieri al Cairo, è che «l'Egitto è un Paese di grande importanza per l'Europa, per l'Italia e per gli equilibri della regione. Un Paese con cui dobbiamo lavorare a fondo sul piano diplomatico e in cui dobbiamo promuovere la presenza delle nostre aziende».
È bastato semplicemente muoversi perché, anche in una situazione economica emergenziale, l'Egitto ricominciasse a essere visibile nella regione. Un atteggiamento cauto verso Hamas che non sa controllare la striscia di Gaza; caute conferme sul trattato di pace con Israele. «Morsi ha assicurato che rispetterà il trattato di pace», garantisce però Terzi alla fine del suo incontro con il presidente egiziano. 
Un viaggio in Iran perché vi si svolgeva il vertice dei non allineati. La prima visita ufficiale all'estero Morsi l'ha fatta a Pechino. Ma a metà settembre andrà negli Stati Uniti che hanno deciso di cancellare un miliardo del debito estero egiziano. A seguire, la Camera di commercio americana porterà al Cairo una delegazione di 50 uomini d'affari (Xerox e Caterpillar nel gruppo, precisa il New York Times). Sulla strada per l'America Morsi si fermerà in Italia, dove non sembra che gli imprenditori lo accoglieranno con entusiasmo americano, nonostante le esortazioni di Terzi.
Trent'anni di stagnazione di Hosni Mubarak hanno tolto all'Egitto il ruolo regionale che aveva sempre giocato. Ora Morsi ha fretta. È un attivismo diplomatico quasi ansioso in una platea che nel frattempo si è riempita di protagonisti e aspiranti: dall'inizio delle Primavere arabe è diventata una ressa. Un tempo la nazione più influente del Mondo arabo era un Paese grande, sovraffollato, povero ma iper-armato come l'Egitto. Oggi una delle più attive è il Qatar, piccolo, 250mila abitanti ma ricchissimo. E naturalmente l'Arabia Saudita che ha sostituito le ideologie di ieri con una molto più antica: l'Islam sunnita.
Una prova della nuova Angst egiziana è l'iniziativa di Morsi sulla crisi siriana: un quadrumvirato Egitto, Arabia Saudita, Turchia e Iran per una soluzione della più grave crisi regionale che nasca nella regione. Gli americani, Giulio Terzi come tutti gli altri europei, e la Lega araba hanno sempre sostenuto che una via d'uscita debba essere trovata dagli attori mediorientali. Ma tutti, anche sauditi e Qatar, dubitano che sia possibile farlo con l'Iran, fino ad ora parte del problema più che della soluzione in Siria.
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