Per convincere il suo pubblico, Bibi Netanyahu ha tirato fuori anche una lettera del 1944 al Congresso Ebraico Mondiale, nella quale il dipartimento alla Guerra americano rifiutava di bombardare Auschwitz. Non ce n’era bisogno: Bibi parlava all’assemblea annuale dell’Aipac, la lobby ebraica per eccellenza in America.
Il quartier generale dell’American Israeli Pubblic Affairs Commitee è in First Street, a Washington: giusto all’ombra del Campidoglio. Pat Buchanan, un vecchio arnese della destra estrema e isolazionista, sosteneva che, come Ramallah, anche Capitol Hill “è un territorio occupato”. L’Aipac non è la sola organizzazione filo-israliana degli Stati Uniti. Ma è la più ricca e influente. Diversamente dai liberal e pacifisti di J Street, è a favore di Israele a prescindere. Non esercita alcuno spirito critico sui governi israeliani, siano laburisti o ultra-nazionalisti come quello attuale.
Per questo l’altro giorno Netanyahu non aveva bisogno di cercare negli archivi del dipartimento alla Guerra, ora diventato alla Difesa, giusto dall’altra parte del Potomac. Se potessero, dirigenti, iscritti e simpatizzanti dell’Aipac andrebbero loro a bombardare l’Iran. Ma Bibi è un uomo politico che ama la retorica: spesso è più retorica che arrosto. O meglio: per quanto trombone, è così bravo da trasformare la retorica in arrosto. Pochi come lui sanno scavare nelle paure degli israeliani.
Quando lo si giudica, credo non si debba mai dimenticare che Bibi Netanyahu porta la responsabilità morale dell’omicidio di Yitzhak Rabin. Aizzati da lui e da altri, il Likud e l’estrema destra linciarono il primo ministro laburista fino a paragonarlo a Hitler, esaltando la mente e armando la mano di Yigal Amir, l’assassino. In tutte quelle manifestazioni disgustose che vomitavano odio, Netanyahu era sempre sul palco. Lo so perché c’ero.
Ma sul palco dell’Aipac Netanyahu si serviva dell’Olocausto per ricordare il pericolo del nucleare iraniano. E non bisogna essere ebrei né avere parenti che da Auschwitz non sono tornati, per sospettare che in questo caso non abbia torto come al solito. Forse – e io per il momento ne sono convinto - esiste ancora la possibilità di un negoziato. Va perseguito fino all’ultima speranza. Ma sembra chiaro che esista un appetito iraniano per un nucleare militare, capace di sollecitare l’altro appetito naturale israeliano per la soluzione militare di ogni problema.
Il mondo deve perseguire l’eliminazione degli arsenali nucleari. Il mondo imperfetto nel quale viviamo, invece li ha e chi li possiede conta più di chi non li ha. Parlo di realismo, non di idealismo. Per giustificare le ambizioni iraniane, molti ricordano che Israele la bomba ce l’ha. E questo non è equilibrato. Occorre tuttavia ammettere una differenza concreta. La bomba israeliana è puramente difensiva: è l’arma di ultima istanza. Esiste da circa 50 anni e non ha mai provocato una proliferazione nella regione perché gli arabi, pur protestando, ne conoscono il proposito strategico limitato. Chi governa l’Iran ha pubblicamente dichiarato di voler distruggere Israele: non è irrealistico pensare che se riescono a far uscire il genio dalla lampada ne useranno la potenza per colpire l’obiettivo dichiarato. Ed è ancora più probabile che il nucleare servirebbe per imporre il primato iraniano nella regione: la bomba non per ragioni difensive ma per una strategia espansionistica. Gli arabi e la maggioranza sunnita convivono da quasi mezzo secolo con un arsenale israeliano. Scatenerebbero una corsa al nucleare se ce ne fosse uno iraniano.