Con un atto più burocratico che politico, il partito Russia Unita ha nominato il suo candidato per le presidenziali dell’anno prossimo, a primavera. Per automatismo ha scelto anche chi sarà il suo primo ministro perché Vladimir Vladimirovic Putin e Dmitri Anatolevic Medvedev viaggiano insieme dal 2000 e continueranno a farlo per un buon pezzo di questo secolo: sicuramente fino al 2024, probabilmente oltre.
Putin presidente, Medvedev suo vice. Medvedev presidente (ma solo per un mandato) e Putin suo vice (per finta, ha sempre comandato lui). Presto di nuovo: Putin capo, Medvedev vice. E’ un duumvirato strano. Nei triumvirati romani che segnarono la lenta fine della Repubblica e l’avvento dei Cesari, i tre litigavano per il potere, a volte fino a tirare dadi e arrivare alla guerra civile. Insomma, una vera lotta per il potere. Qui c’è un primo attore e la sua spalla, come al varietà. L’illusione che Medvedev potesse essere il volto nuovo e finalmente europeo della Russia, balenato per un tempo brevissimo e ormai dimenticato, si è sciolta in fretta come la neve di maggio quando a Mosca cade inaspettata.
Putin vincerà le elezioni e tornerà ad essere presidente per sei anni: durante la sua assenza, prevedendo che comunque sarebbe tornato, il fedele Medvedev aveva firmato il prolungamento del mandato presidenziale da quattro a sei anni. E’ quasi certo che Vladimir Vladimirovic vincerà anche il voto del 2018: non si mette in piedi una commedia della democrazia per poi perdere le elezioni come un Jimmy Carter qualsiasi.
Gli otto anni precedenti a partire dal 2000, più i quattro come presidente mascherato da primo ministro dal 2008 al 2012, più i prossimi 12, fanno un totale di 24 anni. E ci fermiamo qui, pur sospettando che nel 2024 si ripeterà il finto scambio di ruoli del duumvirato per aggirare la norma costituzionale che non prevede più di due mandati consecutivi. O forse Putin si stancherà di traslocare per niente dal Cremlino. Forse cambierà la Costituzione come hanno fatto con più onestà i dittatori delle repubbliche asiatiche ex sovietiche, passati dal comunismo al satrapismo orientale senza illudere nessuno.
Stalin ha tenuto il potere per 31 anni. Se Putin andrà oltre il 2024, lo supererà senza fatica. Probabilmente non sono solo calcoli aritmetici. Significa qualche cosa di più: se non una somiglianza almeno una similitudine politica.
In Occidente dovremmo essere soddisfatti perché con Putin abbiamo sempre fatto affari, accordi politici, trattati internazionali. Faceva un po’ il bullo siberiano, fingeva di saper andare sotto i mari, di tuffarsi col paracadute dagli aerei, guidava moto come Marlon Brando. Prometteva il grande ritorno sulla scena mondiale della Velikaja Rossija, la Grande Russia, ma in fin dei conti era una pasta di partner non solo per Berlusconi. E’ sempre stato una specie di Hosni Mubarak con un po’ più di muscoli e un arsenale nucleare ancora funzionante, per quanto obsoleto. Insomma, un buon padre di famiglia post-fascista. O proto-democratico.
E la democrazia in Russia, 26 anni dopo l’inizio della glasnost, 21 dalla morte del comunismo e 20 dalla fine dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche? C’è tempo, suggerisce Putin e ai russi sembra andare bene così.