Un amico di Washington che aveva seguito la trattativa per il cessate il fuoco a Gaza, spiega che il negoziatore americano Steve Witkoff avesse chiesto chi fosse quel Marwan Bargouti del quale Hamas chiedeva con insistenza la liberazione. Non è un episodio inverosimile, è la nuova normalità. Con la seconda amministrazione Trump è finita l’epoca della diplomazia di professione, sostituita da una fondata sulla transazione: non conta conoscere i dettagli di un conflitto, per quanto importanti, né i principi morali che devono portare a una pace, ma le opportunità di business.
Le 33 pagine della National Security Strategy, la guida della politica estera americana per il triennio e – forse – oltre, sono la summa di questa nuova visione del mondo. Qualche tempo fa Ursula von der Leyen aveva affermato che “l’Occidente per come lo conosciamo, non esiste più”. Il documento che porta la firma di Donald Trump lo conferma definitivamente. A meno che fra quindici giorni il presidente non cambi di nuovo idea: anche questa è una costante della nuova normalità nella quale viviamo, disorientati.
Come aveva già fatto nel suo logorroico discorso all’Assemblea generale dell’Onu, a settembre, Trump se la prende con l’Europa: più precisamente con l’Unione Europea che starebbe portando il continente verso una “cancellazione della civiltà” che conosciamo. Migrazioni, bassa natalità, pacifismo, energie rinnovabili, eccessiva difesa dei principi liberali che l’Europa ostinatamente persegue, sarebbero le cause della nostra imminente decadenza.
L’avversario del nuovo ordine che il documento invece si prefigge, non è la Cina considerata il partner/avversario di questo secolo, come già Barack Obama e Joe Biden avevano individuato; non è la Russia, a favore della quale Trump riafferma la pace sbilanciata che voleva imporre all’Ucraina un paio di settimane fa. No, il nemico è l’Unione Europea – e per default la Nato alla quale aderisce la gran parte dei paesi europei – che non smettono di considerare la Russia l’aggressore e l’Ucraina l’aggredito.
Ma c’è qualcosa di ancora più profondo e molto più pericoloso in questa visione del mondo. Riconoscendo a Putin il diritto di annettere parti dell’Ucraina, ignorando quel principio d’inviolabilità delle frontiere che ha fatto uscire l’Europa dalla barbarie del secondo conflitto mondiale; e, ancora di più, facendo l’elogio del primato dello stato-nazione sugli inutili “corpi transnazionali come la UE”, Donald Trump costruisce una macchina del tempo che porta indietro la civiltà occidentale a un’epoca simile all’età di Versailles, 1919. A quella pace che anziché chiudere i conflitti pose invece fine a qualsiasi speranza di pace per l’Europa.
Non sapendo dell’esistenza del palestinese Bargouti, è difficile sperare che Steve Witkoff sappia cosa accadde 106 anni fa a Versailles. Ieri a Delhi, visitando il Rajghat, il luogo in cui era stato cremato il Mahatma Gandhi, Vladimir Putin ha affermato che le “sue idee su libertà, virtù e umanesimo rimangono rilevanti fino ai nostri giorni”. Se il leader russo ne seguisse almeno una di quelle idee della “Grande Anima”, il mondo sarebbe un posto migliore.
Invece il mondo è sempre più complicato. Putin si sente vicino alla vittoria e forse pensa ad altri conflitti. Con l’aiuto di Trump che detesta le innovazioni, la Cina di Xi diventerà superpotenza prima del tempo. Protagonisti regionali come India, Sudafrica, Brasile non aderiscono ad alleanze ma si sentono liberi di seguire i propri interessi nazionali, più dei principi internazionali. In teoria è una conquista di libertà, in pratica un ulteriore elemento di disordine globale. Soprattutto nell’epoca di Maga e della sua road map verso il caos.