Nel 2018, quando uscì “On Grand Strategy”, il saggio che racchiudeva lo straordinario corso che John Lewis Gaddis teneva a Yale, il Wall Street Journal commentò: “Un libro che dovrebbe essere letto da ogni leader o aspirante leader americano”. Gaddis spiegava come, nel corso della storia da Serse a Roosevelt, scelte lungimiranti ed eccesso di ambizione, definivano la grandezza o i fallimenti dei leader. E’ probabile che Donald Trump non abbia mai ascoltato il consiglio del Journal.
Ma nella schiera di capi di stato e di governo che in questi giorni si esibiscono al podio dell’Assemblea Generale Onu, è difficile trovare qualcuno decisamente meglio dell’attuale presidente americano. Vladimir Putin e Benjamin Netanyahu sono convinti di perseguire una strategia per il futuro del loro paese e della regione che pretendono di controllare. Ma sono obiettivi che prevedono guerre, conquiste territoriali, l’eliminazione fisica del popolo avversario.
La strategia di entrambi non guarda al futuro ma al passato. Putin ambisce a ristabilire un modello imperiale del XIX secolo. Netanyahu va indietro di millenni: in un’Israele biblico dalle frontiere dettate da Dio, sebbene mai possedute così estese dal popolo ebraico.
Forse Xi Jinping un giorno sarà ricordato per aver avuto una vera strategia: non per aver ricostruito un altro Celeste impero ma per aver realizzato un sistema di potere moderno dalla proiezione globale: sul piano politico, economico, scientifico, tecnologico, commerciale, militare. In questo aiutato dalla ritirata americana imposta da Trump. Ma anche Xi potrebbe finire come Pericle che fu l’artefice della grandezza di Atene, fino a causarne la caduta.
Questa è l’ottantesima sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Dovrebbe essere una scadenza celebrativa. Il consesso invece rappresenta una comunità politica forse mai così divisa da che esiste: dal mondo della Guerra Fredda tagliato in due, in qualche modo più semplice da decifrare, a uno pletorico. Tre grandi potenze: Cina e Russia revisioniste rispetto all’ordine prevalente, l’altra l’America. Nel suo avvilente discorso, dedicato a se stesso e alla minaccia dei migranti, Donald Trump trasforma gli Stati Uniti in un ulteriore problema, non in una soluzione del grande disordine mondiale.
Poi ci sono almeno una decina di potenze intermedie, regionali ma dalle ambizioni più ampie; e il Sud Globale che non è un fronte compatto e coerente ma un formicaio di pericolose istanze nazionali ed etniche.
Due conflitti stanno concentrando l’attenzione di tutti, molto simili per il grande interesse e le preoccupazioni che suscitano ma in realtà molto diversi l’uno dall’altro. Anche per la pericolosità. Quella ucraina è una guerra potenzialmente mondiale: con Kyiv è schierato l’Occidente; con Mosca una coalizione non compatta come la Nato ma imponente: Cina, Corea del Nord, Iran e qualche altro. In mezzo Donald Trump blandito sia da Putin che dagli europei, a causa dell’impossibilità di leggerne le intenzioni e la speranza di condizionarle.
Le provocazioni russe potrebbero spingere la Nato a intervenire e questo a un aiuto diretto della Cina alla Russia. Un non intervento americano potrebbe convincere Pechino ad attaccare Taiwan. Lo scenario non è probabile ma possibile.
Quella israeliana a Gaza e Cisgiordania è invece una guerra regionale. Ma solo perché gli israeliani hanno bombardato cinque capitali arabe. Questi attacchi né il massacro quotidiano di Gaza o l’intenzione dei ministri estremisti israeliani di eliminare i palestinesi, hanno spinto gli arabi alla reazione. Nessuno può contrastare la potenza militare ebraica, ormai un’egemonia regionale. Spetta solo a Israele se, come e quando continuare una guerra della quale l’America è un testimone consenziente.
C’è una sola questione sulla quale il mondo così complesso è in grandissima parte d’accordo: uno stato palestinese accanto all’israeliano come soluzione del conflitto senza fine. Ma nessuno ha intenzione di farsi coinvolgere: non la Cina né la Russia e nemmeno gli altri. L’Assemblea Generale, cioè il mondo, è in cerca di un leader ma sarà difficile trovarne uno che abbia letto “On Grand Strategy” con la necessaria umiltà.