Bombe e misteri

Beirut (un’antica consuetudine), Damasco, Teheran, Sana’a. E ora Doha. Sono poche le capitali arabe risparmiate dall’ubris militaristica israeliana, dalla sua ansia di sicurezza trasformata in senso d’onnipotenza, in egemonia regionale. Questa è la “grand strategy” d’Israele. Ma ogni suo bombardamento ha uno scopo tattico.

Gli ultimi sulla capitale libanese erano stati per azzerare con successo i vertici di Hezbollah; quelli su Teheran per circoscrivere la minaccia nucleare iraniana: sarebbero continuati se gli Stati Uniti non avessero fermato Bibi Netanyahu; nello Yemen per rispondere a un regime che sogna di diventare una Corea del Nord in Medio Oriente. Gli attacchi a Damasco erano invece stati una prova di futile arroganza verso un regime che, pur con ambiguità, sta cercando di salvare la Siria.

Ma perché il Qatar, un emirato amico, il primo già quasi un trentennio fa a instaurare relazioni con Israele, alleato degli Usa quanto un paese Nato, il principale negoziatore arabo di una tregua a Gaza? L’eliminazione – fallita – dei vertici di Hamas non poteva attenuare la palese violazione di ogni regola del diritto internazionale e delle sovranità nazionali: valori dentro i quali Israele ha sempre faticato a stare. Le proteste sono state veementi, l’isolamento d’Israele ancora più profondo.

Questa è la scena alla quale stiamo assistendo tutti. E’ innegabile: bombe e violazioni sono concrete. Ma dietro il grade schermo degli atti e delle condanne dovute potrebbe esserci qualcosa di più complesso.

A pochi chilometri da Doha c’è Al-Udeid, la più grande base militare americana in Medio Oriente, sede del Comando Centrale Usa nella regione. E’ difficile immaginare antenne più sensibili, un luogo e un paese più protetti. A giugno, gli Iraniani avevano colpito il Qatar per il ruolo di supporto garantito al beve attacco americano contro le loro installazioni nucleari. Ma fu più una simulazione di attacco che un attacco reale.

Supponendo che non fossero stati informati con largo anticipo dagli israeliani (come sostiene il premier Netanyahu: è un’operazione tutta nostra), americani e alleati del Qatar avevano comunque gli strumenti per individuare l’arrivo di una forza d’attacco. E sopra quale spazio aereo la quindicina di caccia bombardieri israeliani si sarebbe rifornita durante il volo di 1.800 chilometri: Giordania, Arabia Saudita, Bahrein?

Hamas è la fratellanza musulmana palestinese. Non c’è regime oggi al governo nel mondo arabo sunnita che tolleri una qualsiasi presenza politica dei Fratelli Musulmani. Quando israeliani e amministrazione americana sostengono che Hamas non può essere parte della soluzione per Gaza, affermano ciò che chiedono anche quei paesi.

Nessuno di loro investirebbe un dollaro per la ricostruzione di Gaza: non lo farebbero neanche gli europei. Nessuno metterebbe a rischio la vita dei suoi uomini per creare quella forza militare internazionale necessaria per stabilizzare la striscia. Qatar, sauditi, Emirati, egiziani, giordani hanno una sola possibilità di convincere Bibi Netanyahu a prendere le distanze dai suoi alleati di governo estremisti, fermare l’occupazione della Striscia e tentare un’opzione politica per la soluzione di Gaza: togliere di mezzo Hamas. La parte politica dell’obiettivo spettava a loro, quella militare agli specialisti israeliani.

Tutte queste sono speculazioni. Ma tempi, modi e risultati del bombardamento israeliano su Doha sono pieni di lacune. Come è possibile che gli israeliani capaci di attacchi dalla precisione millimetrica a Teheran e nel Sud del Libano, abbiano sbagliato la mira a Doha? I capi di Hamas sono sopravvissuti: un errore o qualcuno con cui riprendere a trattare da una posizione di estrema forza doveva restare vivo? Perché l’operazione è stata attribuita allo Shin Bet, i servizi segreti israeliani interni e non al Mossad o allo Stato Maggiore?

Questa versione di un attacco che tenti di risolvere e non aggravare il conflitto di Gaza, è una variante ottimistica del problema. E’ dettata da un desiderio di molti che, direttamente o no, sono coinvolti in questo disperato conflitto senza fine. Tuttavia la versione “fiduciosa” del bombardamento di Doha non tiene conto di Benjamin Netanyahu: se davvero Hamas fosse tolto di mezzo, tornerebbe al realismo? O continuerebbe a sostenere l’idea messianica dei suoi alleati, di una pulizia etnica a Gaza e Cisgiordania?

 

 

  • carl |

    Nel mio piccolo, visto e considerato che il gabinetto Netanyahu sembra avere “carta bianca”, o se l’è presa, molto più urgente che parlare di uno Stato palestinese, è mettere in salvo i palestinesi ingabbiati nella striscia nel circostante territorio egiziano, coprendo finanziariamente il tutto da parte internazionale.

  • carl |

    Credo che abbia ragione parlando di ..” hybris militaristica.. ansia di sicurezza trasformata in senso di onnipotenza..”
    Ed è un dato di fatto che il 7 ottobre 2023, oltre che l’invasione, i massacri e la quasi totale distruzione di Gaza, hanno reso “giustificabili” anche i molteplici attacchi e bombardamenti in Libano, Iran, Siria, Yemen ed infine il Qatar..
    E se non giustificabili agli occhi sia di tutto il popolo ebraico del M.O. che della “diaspora”, sta di fatto che nel rifondato Stato è emerso un “gabinetto”, ossia un gruppetto formato da Netanyahu & soci, che hanno pienamente “giustificato”, deciso e portato a compimento quanto suindicato. Va tuttavia notato che la storia mondiale documenta come sia stata trattata la diaspora ebraica nel corso dei secoli e che il suddetto gruppetto o gabinetto faccia leva sia su detti trattamenti, sia confidando
    a) nel sostegno degli USA piuttosto che su quello del Dio biblico e così pure
    b) sul fatto di avere potuto, sempre con l’appoggio occidentale, dotarsi dell’arma nucleare e perfino di una propria industria aeronautica militare, che soltanto l’altrettanto piccola (demograficamente) Svezia ha..
    c) inoltre, l’attuale Stato ebraico appare risoluto “whatever it takes”(chiedo venia a M.Draghi..:o) a dimostrare che non permetterà il ripetersi di quei fatti storici che, col nazismo, culminarono nel cosiddetta Shoah
    p.s. Ma il fatto è che il tentativo di organo sovra e internazionale rappresentato dall’ONU sta rischiando di fare la fine della Società delle Nazioni sorta tra le due guerre mondiali. Il che potrebbe facilitare e condurre ad un maleaugurato esito o sbocco. Maleaugurato per tutti e, dunque, anche per il popolo ebraico.

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