Il leader di nessun altro paese alleato avrebbe il privilegio di parlare alle camere riunite, d’incontrare il presidente in carica, il candidato del partito democratico e quello repubblicano. A nessuno sarebbe concesso di farlo a cento giorni da elezioni presidenziali così tese e determinanti per il futuro degli Stati Uniti. E per la sopravvivenza politica di Benjamin Netanyahu, l’ospite tanto blandito.
Di questi tempi in nessun altro paese al mondo, nemmeno nel suo dove è detestato, il premier israeliano riceverebbe così tanti onori. Una guerra tenuta volutamente attiva per questioni di potere, la brutalità e la durata della risposta militare su Gaza, la questione aperta degli ostaggi israeliani. Ovunque Netanyahu sarebbe stato invitato con diplomatica discrezione a restare a casa sua. Non negli Stati Uniti.
La spiegazione non è difficile. Quattro americani su cinque sono favorevoli a Israele, qualsiasi cosa faccia. Sono sondaggi che non si possono ignorare, soprattutto in un anno elettorale, ancor più in una campagna incerta come questa. Insieme a Cuba, Israele non è solo un problema di politica estera degli Stati Uniti: è anche una questione domestica. Come quella caraibica, la comunità ebraica americana ha la forza di condizionare le dinamiche interne.
L’invito a Netanyahu, l’uomo meno desiderato al mondo, secondo solo al Nord-coreano Kim jong-il e a Saddam Hussein se fosse ancora vivo, era stato fatto dal partito repubblicano. Esattamente per mettere in difficoltà Joe Biden.
Per tutta la durata dell’invasione e dei bombardamenti di Gaza, il presidente aveva dato di se una versione “on” e una “off the record”. Nella prima ha continuato a rifornire Israele di armi letali; nella seconda litigava con Netanyahu per il disastro umanitario del quale è responsabile. Come constata Vali Nasr della John Hopkins University, l’amministrazione Biden “non è riuscita a influenzare l’andamento della guerra, ad assicurare un cessate il fuoco od ottenere da Israele un impegno sul futuro di Gaza o uno stato palestinese”.
Niente. Netanyahu ha ignorato quasi fino all’insulto ogni esortazione di Biden ed è per questo che ieri ha parlato soprattutto ai repubblicani come fosse un vero statista e non un opportunista politico. Per la quarta volta sulla collina del Campidoglio: neanche Winston Churchill era stato tanto onorato da Congresso.
I palestinesi e i sostenitori della loro causa sono convinti che se Joe Biden non si fosse ritirato, avrebbe perso le elezioni. E Kamala Harris farà la stessa fine se anche lei sarà così palesemente a favore di Israele. Ma è sbagliato pensare che Gaza possa avere qualche effetto sulle elezioni americane. Il risveglio nei campus universitari, le proteste di molti ebrei americani contro Netanyahu, lo sciopero elettorale della comunità arabo-americana del Michigan, sono stati fenomeni nuovi, molto seguiti dalla stampa. Segnalano un eventuale cambio di atteggiamento americano nella prossima generazione, non oggi. Gaza 2024 non è il Vietnam 1968.