Alla Brown University, Rhode Island, hanno calcolato che in meno di due mesi gli israeliani a Gaza hanno ucciso lo stesso numero di civili morti in 20 anni di bombardamenti americani in Afghanistan. Questo, secondo il segretario alla Difesa Lloyd Austin, sta portando Israele “da una vittoria tattica a una disfatta strategica”.
Austin sa di cosa parla, è un ex generale: vice di Centcom, il Comando strategico in Medio Oriente, e comandante delle forze in Irak. La sua previsione di una sconfitta strategica israeliana si fonda sulla teoria di un collega, il generale Stanley McChrystal che fu capo della missione in Afghanistan: “Insurgent math”, la matematica del ribelle. Per ogni vittima innocente, 20 sopravvissuti aderiscono alla guerriglia.
E’ difficile calcolare cosa significhi questo a Gaza. Prima della guerra in un sondaggio di Arab Barometer il 67% dei palestinesi non aveva fiducia in Hamas. La settimana scorsa il 76 ne sosteneva l’aggressione a Israele. Quest’ultimo contesta il bilancio di circa 15mila vittime civili perché il ministero della Sanità che ne tiene il conto, è controllato da Hamas. Ma non sembra che la vice-presidente Kamala Harris, il segretario di Stato Antony Blinken, le Nazioni Unite, la Croce Rossa, le Ong che operano nella striscia dubitino del massacro in corso, mille morti in più o in meno.
Dopo aver ordinato agli abitanti di abbandonare il Nord della striscia, ora gli israeliani vogliono che se ne vadano anche dal Sud: il nuovo obiettivo dell’offensiva. Un milione e 800mila civili di Gaza sono in cammino, avanti e indietro, senza sapere dove andare perché lungo i 360 chilometri quadrati della striscia non c’è più un posto dove andare.
Immaginare un dopoguerra è un esercizio difficile; pensarlo con Hamas, impossibile. Solo il turco Recep Erdogan pensa che invece lo sia: ha sempre sostenuto il movimento dei Fratelli Musulmani e Hamas ne è la fazione palestinese. Ma la forbice fra una comprensibile necessità politica e il disastro umanitario di Gaza è sempre più incolmabile: la questione morale prevale. Non c’è diritto alla giustizia (quella rivendicata da Israele) che abbia margini così ampi da assomigliare a una vendetta.
Giorno dopo giorno i toni dell’amministrazione Biden cambiano, diventando sempre più critici. Secondo un esperto citato dal New York Times, gli israeliani “stanno usando munizioni estremamente potenti in aree estremamente popolate: è la peggiore combinazione possibile di fattori”. Questo tuttavia non ha interrotto il costante rifornimento delle bombe usate su Gaza.
Non è difficile per il crescente “Sud globale” accusare di doppio standard americani ed europei: riconosciamo agli ucraini quello che ai palestinesi non è concesso. Vladimir Putin è un paria, Bibi Netanyahu no. La battaglia per la difesa della democrazia che l’Occidente sta facendo in un mondo diffusamente ostile ai diritti civili, fatalmente ne risente.
Il sospetto è che il sostegno al diritto israeliano di difendersi stia diventando un’involontaria sponda a Netanyahu: nonostante la guerra, i giudici stanno andando avanti nei processi nei quali è accusato di corruzione e tangenti. Più dura la guerra alla ricerca di una vittoria elusiva, più Bibi resta al governo.