Pochi giorni fa ho finito di leggere “L’era dell’Intelligenza artificiale – Il futuro dell’identità umana” (Mondadori). E’ un breve saggio scritto da Henry Kissinger, l’ex Ceo e presidente di Google Eric Schmidt, e Daniel Huttenlocher, decano del Mit di Boston.
E’ una profonda analisi scientifica, politica, morale e filosofica delle opportunità che l’Ia offre all’umanità e soprattutto dei pericoli che rischia di rappresentare in un futuro che ancora nessuno è in grado di scrivere. “Quali effetti avrà l’evoluzione dell’Intelligenza artificiale sulle nostre capacità di percezione, cognizione e interazione?”, si chiedono i tre autori. “Quale sarà il suo impatto sulla nostra cultura, sul nostro concetto di umanità e, in definitiva, sulla nostra storia?”.
E ancora: “Quando molteplici gruppi o nazioni adottano differenti concetti o applicazioni di Intelligenza artificiale, le loro esperienze della realtà possono divergere in modi difficili da colmare”.
Non solo: “Il mondo digitale è poco indulgente nei confronti della saggezza: i suoi valori sono plasmati dall’approvazione, non dall’introspezione. Questo mondo pone necessariamente in dubbio il presupposto fondamentale dell’Illuminismo, ossia che la ragione è l’elemento più importante della coscienza”.
Da ultimo, ma ci sarebbe molto ancora: “Poiché l’apprendimento automatico guiderà l’IA anche nel prossimo futuro, gli esseri umani rimarranno inconsapevoli di ciò che un’intelligenza artificiale sta imparando e come sa ciò che ha imparato”.
Pare evidente che, mutatis mutandis, l’IA è potenzialmente molto più instabile dell’energia atomica: la pericolosità di quest’ultima dipende dall’uso che ne fa l’uomo; quella della seconda in un futuro non lontano potrebbe diventare temibile, indipendentemente dai nostri comportamenti. Potrebbe trasformarsi in una forma aliena d’intelligenza superiore.
“Nel momento in cui viene scritto questo libro…”. scrivono ripetutamente gli autorevoli autori con allarmante onestà, per ricordarci che l’IA è materia altamente precaria: ciò che conosciamo in questo momento, domani alla stessa ora potrebbe essere altro.
E’ con questa lunga premessa che arrivo al nocciolo del post: Elon Musk, Mark Zuckerberg e la loro ridicola sfida muscolare. Sono stati scomodati i gladiatori, l’impero romano e le sue arene. A dire il vero, più di una tauromachia era una batracomiomachia: non una lotta fra tori ma fra rane e topi.
Come era prevedibile, alla fine lo scontro non si farà. Il bullismo via Internet fra i due miliardari dell’hi-tech mi ha ricordato quei litigi a distanza che a volte vedevo a San Siro. Due tifosi avversari a cinque file di distanza: “vieni giù se hai il coraggio”, diceva uno; “vieni su tu che ti smonto”. Ma nessuno si muoveva dal suo posto.
Ormai più una quarantina d’anni fa, quando ero in California, mi ero illuso che i giovani geni della nuova economia digitale sarebbero stati meglio, più attenti al sociale e meno avidi dei padroni del vapore di un tempo. Ma a Henry Ford e Andrew Carnegie non sarebbe mai venuto in mente di organizzare una sfida gladiatoria con i loro rivali. Carnegie, tra l’altro, fu un grande filantropo del suo tempo.
Elon Musk e Mark Zuckerberg ci ricordano invece che essere geni non mette in salvo dal cretinismo. Ma Musk e Zuckerberg maneggiano con maestria anche l’Intelligenza artificiale, facendone un uso spregiudicato: potrebbero essere i “Trangugia e Divora” del nostro futuro. Mai due bulli che volevano prendersi a pugni davanti a una platea globale di guardoni, hanno anche un potere così grande.
La mia preoccupazione è vieppiù aumentata leggendo la settimana scorsa una lunga inchiesta del New York Times intitolata “One billionaire with unmatched power in space”. Il riccone che detiene un potere ineguagliabile nello spazio, cioè nel settore strategico dei satelliti internet, è Elon Musk.
Oggi più del 50% dei satelliti attivi attorno alla Terra – cioè più di 4.500 veicoli spaziali – sono di Starlink che appartiene a SpaceX che appartiene a Musk: dal 2019 SpaceX manda un razzo alla settimana fuori dall’atmosfera terrestre.
“Da solo”, scrive il New York Times, con la sua “combustible personality” Musk può decidere di togliere l’accesso a Starlink internet a individui e paesi interi “e ha la capacità d’influenzare informazioni sensibili che raccoglie il sistema”. Il quasi completo controllo di Musk provoca una crescente preoccupazione internazionale “perché nessuna compagnia né governo si avvicinano a ciò che lui ha costruito”.
Quando vedo in tv Elon Musk ancora non mi ricorda un pericoloso autocrate. Di certo nemmeno un gladiatore, ma solo Charlie Chaplin nel “Grande dittatore”. Tuttavia potrei sbagliarmi: mi capita spesso.