Mentre i soldati russi e ucraini si scannano quotidianamente al fronte, questa guerra sta aprendo molte finestre dalle quali intravvedere il nostro futuro. E’ un elenco molto lungo, alla fine del quale faticheremo a riconoscere noi stessi e il mondo per come lo abbiamo conosciuto e vissuto fino ad ora.
La necessità di cambiare le fonti di approvvigionamento energetico non ci ha solo costretto a variare i fornitori ma ci spingerà ad accelerare la transizione dagli idrocarburi ad alternative pulite. Avere una Nato, una Ue e un fronte compatto di paesi occidentali dagli stessi valori democratici, sarà una necessità più compresa dagli europei di quanto non lo fosse prima della guerra. Un Sud Globale vasto, in crescita e liberato dagli obblighi delle alleanze con questa o quella superpotenza, sta già diventando la nuova normalità. E lo sarà sempre di più.
La geopolitica sarà in un certo senso più democratica e flessibile ma non per questo garantirà al mondo più pace: un conto era costruire un sistema di sicurezza collettiva guidato da due superpotenze; un altro è crearlo da una miriade d’interessi nazionali e regionali. Comunque finisca la tragedia ucraina, è difficile pensare che – esclusi arsenali nucleari e dimensioni geografiche – la Russia ne uscirà da superpotenza: con o senza Vladimir Putin.
Questo ci porta alla più importante delle finestre sul nostro futuro, aperte dalla guerra in Ucraina: non più una direzione a tre del mondo ma di nuovo a due, Stati Uniti e Cina, sebbene non così assoluta come ai tempi della Guerra Fredda, con ampie libertà di manovra per tutti gli altri. Secondo Goldman Sachs Global Investment Research, nel 2022 le più grandi economie del mondo erano, nell’ordine, Stati Uniti, Cina, Giappone, Germania e India; nel 2050 saranno Cina, Usa, India, Indonesia, Germania; nel 2075 Cina, India, Usa, Indonesia, Nigeria. La Germania, prima europea, sarà nona.
Per questo solleva qualche disorientamento il cosi detto piano di pace cinese: posto che lo fosse davvero e non invece solo una riaffermazione delle posizioni di Pechino sulle vicende mondiali, Ucraina compresa. I nemici in campo sono due ma la Cina ha parlato solo con i russi: a Kyiv non è arrivata nemmeno una telefonata. Né si presenta un piano di pace e contemporaneamente – accusano gli americani – si arma l’aggressore.
E’ evidente che gli Stati Uniti non sosterrebbero mai una proposta cinese. Ma è ugualmente evidente che solo l’America e la Cina, insieme, possono provarci con concrete possibilità di successo. Recept Erdogan ha compiuto qualche miracolo. Ma oltre all’accordo sull’esportazione del grano attraverso il Mar Nero, la Turchia non può fare di più: manca la gravitas. Per tutti gli altri paesi, Italia compresa, proporre piani è solo una dichiarazione di politica interna.
Oggi portare al negoziato i due nemici è una missione impossibile. Volodymyr Zelensky rivuole anche la Crimea; Vladimir Putin tutta l’Ucraina. Secondo una ricostruzione credibile del Financial Times, il giorno dell’invasione un oligarca preoccupato aveva chiesto a Sergei Lavrov chi fossero i consiglieri che avevano convinto il presidente a intraprendere una guerra così insensata. “Ivan il Terribile, Pietro il Grande e Caterina la Grande”, aveva risposto il ministro degli Esteri, anche lui tenuto all’oscuro della decisione di Putin.
Solo la Cina può convincere e probabilmente costringere la Russia – la sua pompa di benzina – a uscire da un’impresa disastrosa. Non è nell’interesse di Xi Jinping che l’alleato venga troppo indebolito: nel nuovo ordine/disordine globale anche il fronte autoritario ha bisogno di compattarsi di fronte a quello liberale, rigenerato dall’aggressione russa.
E solo gli Stati Uniti possono persuadere e probabilmente imporre all’Ucraina di accettare un compromesso territoriale in cambio della piena e definitiva indipendenza. Anche senza Putin, una Russia umiliata ma non sconfitta continuerebbe a coltivare le sue cromosomiche ambizioni imperiali. Come garantire dunque l’Ucraina da una nuova aggressione? Aprendole le porte di Nato e Ue nei tempi dovuti ma certi. In cambio, anche perdere Crimea e una parte dei territori dell’Est, sarebbe una vantaggiosa rinuncia.