Sarà l’offensiva russa dell’ultimo scampolo d’inverno o di primavera? O sarà la controffensiva ucraina a ribaltare le sorti della guerra, se i carri armati occidentali arriveranno in tempo? Ma se è vero che gli ucraini non hanno i mezzi per vincere e i russi hanno la profondità strategica e demografica per non perdere, un’ipotesi verosimile è che questo conflitto avrà un secondo e forse un terzo anno da ricordare.
Forse sarà per molto tempo una guerra d’attrito come quella che dilaniò l’Europa fra il 1914 e il ’18, sebbene più circoscritta. Ma c’è un altro conflitto che può essere d’esempio o da modello per quello ucraino: la guerra di Crimea del 1853/56. Anche quello fu causato dalla Russia che aggredì l’impero ottomano; anche allora i russi credevano di appartenere a un impero invincibile; anche allora una coalizione internazionale si coalizzò per opporsi: turchi, inglesi, francesi, seguiti dopo un anno di battaglie dal Regno di Savoia e ancora più tardi dagli austriaci. E anche il conflitto del XIX secolo cambiò gli equilibri del continente, come oggi quello ucraino.
Nella guerra che conosciamo – l’invasione dell’Ucraina – la penisola di Crimea è una specie di scrigno intoccabile, un obiettivo innominabile, l’ostacolo o la chiave d’accesso di ogni negoziato di pace. Nessuno stratega è in grado di sapere cosa accadrebbe se gli ucraini la liberassero con l’aiuto delle armi occidentali: una rapida conclusione o al contraro un allargamento del conflitto, con Putin pronto a usare la minaccia atomica. Per evitare lo stesso disastro che lo zar Nicola I dovette ammettere in Crimea. Alla fine Nicola fu costretto ad abdicare in favore del figlio Alessandro II. Se anche Putin venisse sconfitto e sostituito, il regime russo non cambierebbe.
Non c’è leader politico o negoziatore che se la sentirebbe di dire a chi spetti di più la Crimea: se alla Russia alla quale apparteneva fino al 1954, quando Nikita Krushov la diede per decreto a Kyiv ; o all’Ucraina quando nel 1994 consegnò a Mosca una parte importante dell’arsenale nucleare sovietico, in cambio del riconoscimento russo delle frontiere ucraine, Crimea compresa.
Poco meno di un anno fa, quando l’Ucraina dimostrò di saper resistere all’invasione russa, Volodymyr Zelensky era stato vago sullo status della penisola, occupata dalla Russia nel 2014: la questione su chi appartenesse – ammise – sarebbe stata chiarita alla fine della guerra, da un negoziato internazionale. Ma quando l’Ucraina ha capito che poteva vincere, l’atteggiamento è cambiato. “Dateci le vostre armi e noi riprenderemo ciò che ci appartiene”, aveva detto Zelensky a gennaio, alla comunità internazionale del World Economic Forum di Davos.
Per Joe Biden e per gli europei, più preoccupati di Zelensky delle conseguenze di un’offensiva nella penisola, la minaccia di una riconquista è solo uno strumento di pressione per spingere la Russia al negoziato. Ma temono che la nuova assertività del presidente ucraino, riveli invece l’ambizione di liberare ad ogni costo tutti i territori occupati da Putin. Nelle sue dichiarazioni Biden insiste che la Crimea è territorio ucraino. Ma ciò che Stati Uniti, Nato ed Europa promettono pubblicamente a Zelensky non è necessariamente quel che poi gli dicono in privato, lontano dalle telecamere.
Gli alleati pensano che anche con i Leopard, gli Abrams e tutte le armi avanzate, la riconquista della Crimea sia estremamente complicata. Sarebbe necessario uno sbarco sulle coste della penisola: come nella più grande della storia in Normandia e come già in Crimea nel 1854 nel golfo di Kalamita e a Sebastopoli, ogni operazione anfibia comporta una pericolosa vulnerabilità per chi sbarca.
Per gli occidentali la penisola è quasi come un territorio russo: permettono agli ucraini solo brevi operazioni. Tuttavia i russi la usano come retrovia strategica. Nessuna nuova offensiva può essere lanciata da Mosca senza la base di partenza della Crimea e la logistica che garantisce. Gli ucraini sanno di non poter sostenere anni di guerra d’attrito con i russi che bombardano quotidianamente le loro città. Solo l’apertura di un nuovo fronte nella penisola potrebbe fermarli.
Scatenata per indebolire l’impero ottomano e conquistare alla cristianità ortodossa russa i luoghi santi di Palestina, la guerra di Crimea fu parte della Questione d’Oriente di allora. L’impero ottomano aveva iniziato il suo inarrestabile declino. La Russia intendeva approfittarne per raggiungere il Mediterraneo ma per inglesi e francesi l’integrità turca continuava ad essere essenziale per gli equilibri della regione.
Anche la guerra in Ucraina è fondamentale per la questione dell’Oriente europeo: se non più un impero, Putin vuole ricostituire la sfera d’influenza un tempo sovietica. Forse l’Ucraina sarebbe stata solo il primo obiettivo se le cose non fossero andate così male. Al contrario gli alleati vogliono sostenere l’indipendenza ucraina per contenere anche in questo caso l’espansionismo russo.
La guerra di allora si concluse nel 1856 alla Conferenza di Parigi, con la distruzione della flotta del Mar Nero e la fine delle ambizioni zariste. I russi che avevano appoggiato con entusiasmo la guerra, si accorsero che il loro non era il più moderno e potente degli imperi. L’impero Ottomano sarebbe definitivamente caduto: per quanto un revanscismo imperiale sarebbe sopravvissuto fino ai giorni nostri, con il neo-ottomanismo di Recep Erdogan. Le frontiere dell’Europa orientale fra Austria e Russia diventarono più incerte; e con il sacrificio dei bersaglieri, il regno di Sardegna fu autorizzato a combattere gli Asburgo con l’aiuto del francese Napoleone III.
Dopo il disastro Nicola abdicò. Alessandro II pose fine alla servitù della gleba ma il suo riformismo fu di breve durata: il regime reazionario degli zar rimase immutato. Come avrebbe detto un cinquantennio più tardi Pyotr Stolypin, il premier riformatore ucciso nel 1911, forse dalla polizia segreta dello zar, in un anno può sembrare che tutto cambi in Russia ma in un secolo è sempre tutto uguale.
Un’ultima tragica similitudine lega quel conflitto alla guerra in Ucraina: la carneficina. Nella prima morirono 500mila soldati: più per colera, dissenteria, cancrena, incapacità di guarire ferite anche leggere, che morti in battaglia. Nel secondo conflitto, il nostro di oggi, siamo ancora lontani da un bilancio finale.