Sarà “l’era della competizione”, garantisce Joe Biden. Illustrando la nuova National Security Strategy, il presidente americano si riferiva alla Russia e soprattutto alla più importante Cina, progressivamente vista come nemica che semplice concorrente.
Tuttavia, al momento è Vladimir Putin l’avversario più immediato, assoluto e pericolosamente imprevedibile. La guerra energetica che ha scatenato contro l’Occidente non è meno aggressiva di quella con missili contro gli ucraini. Il nuovo mantra della propaganda di Mosca – l’Europa passerà l’inverno al gelo – è una bugia grossolana. Ma aver convinto l’Araba Saudita e gli altri membri dell’Opec a tagliare la produzione petrolifera per aumentare il prezzo del barile, è stato un punto a favore della sua guerra sul costo dell’energia.
Il paese più importante della regione è l’Arabia Saudita: senza il suo consenso l’Opec non avrebbe preso una decisione così anti-americana. In questa scelta conta forse una questione più personale che realmente politica: la reciproca avversione fra Biden e Mohammed bin Salman, Mbs, il principe ereditario saudita. L’amministrazione americana ha intenzione di reagire con durezza: ritirare le truppe dal regno, togliere le garanzie di sicurezza nella regione più insicura del mondo. I russi non possono sostituire del tutto gli americani: non hanno gli stessi sistemi d’arma avanzati, e in Siria convivono con l’Iran, avversario dei sauditi.
Ma l’attivismo di Mosca nella regione rimane intenso. Putin ha anche incontrato il presidente degli Emirati e signore di Abu Dhabi (il più petrolifero dei sette emirati dell’Unione), Mohammed bin Zayed. MbZ è un politico più raffinato del saudita MbS: al vertice dell’Opec di Vienna che aveva deciso di ridurre la produzione di un milione di barili al giorno, gli Emirati avevano discretamente fatto sapere di opporsi al taglio: solo perché isolati, vi avrebbero aderito. Al Consiglio di Sicurezza Onu gli Emirati hanno votato a favore della risoluzione di condanna dell’annessione russa delle province ucraine. Si erano invece astenuti qualche mese prima al voto dell’assemblea generale contro l’aggressione russa.
Tuttavia da molti anni la politica mediorientale di Mosca è sempre più duttile di quella americana. La sua forza è nello sfruttare rigidità politiche e debolezze di quest’ultima. Anche se gli Usa hanno sempre avuto un alto profilo nella regione, spendendo miliardi di dollari in guerre, basi militari e aiuti economici, impegnandosi in processi di pace complicati e non sempre fruttuosi, mantenendo un profilo più basso i russi hanno rafforzato la loro influenza.
L’aiuto militare ed economico americano è fondamentale per Israele. Ciononostante nello stato ebraico praticamente non vengono applicate le sanzioni contro la Russia. Al contrario Mosca ha eccellenti rapporti con Israele (soprattutto di sicurezza rispetto a Libano e Siria) e contemporaneamente con Teheran senza che venga meno la protezione dei suoi interessi con Riyad. La diplomazia russa parla con i palestinesi di Ramallah e con quelli di Gaza; con i governi che sostengono la Fratellanza islamica e quelli che la combattono, con fondamentalisti e laici.
I russi non hanno invaso l’Irak né bombardato la Libia; non aderiscono alle condanne internazionali sull’infinito numero di violazioni dei diritti umani nei paesi arabi. A parte gli interventi dei mercenari russi di Wagner, Mosca è intervenuta militarmente solo in Siria: non appena gli americani si sono disimpegnati dal dedalo sanguinoso di quel paese. In un certo senso anche in Arabia Saudita stanno occupando un vuoto lasciato dagli Usa: sia pure con i mezzi della diplomazia, non delle armi ora troppo impegnate nella fallimentare aggressione all’Ucraina.
UNA PACE CON QUESTO PUTIN?
Cicerone sosteneva che una pace ingiusta è sempre meglio di una guerra giusta. E’ una riflessione che viene spesso usata da tutti coloro che temono l’escalation del conflitto ucraino e le sue possibili conseguenze oltre i campi di battaglia. L’Ucraina aggredita avrà tutto il diritto di combattere la sua giusta guerra. Ma per quanto ingiusta, una pace con Putin eviterebbe il pericolo nucleare, l’emergenza energetica, l’inflazione globale, l’ansia che nell’attesa delle ultime notizie, prende generazioni di europei nati e cresciuti nella pace.
E’ innegabile che il conflitto ucraino non sia destinato a una guerra di trincea, inverno dopo inverno, come nelle Fiandre del 1917. Vladimir Putin sta perdendo clamorosamente: le capacità dei suoi militari e la tenuta della nazione sono mediocri.
Ma Putin non può perdere: aveva sperato di vincere minacciando d’invadere, poi ha dovuto effettivamente invadere. Era convinto di vincere in pochi giorni, poi ha dovuto assistere a una ritirata senza fine: non ha nemmeno il pieno controllo delle regioni dell’Est, annesse con squilli di tromba e rulli di tamburo. Se non è una faida interna fra servizi segreti e militari russi, gli ucraini sono perfino stati capaci di colpire il ponte in Crimea, simbolo fisico della vocazione putiniana all’annessione.
Questa è la linea al di sotto della quale Putin non può scendere: per sopravvivere non può più perdere. A meno che non accada un poco probabile golpe di palazzo a Mosca, tenterà di usare tutti gli strumenti della logica di potenza che è ancora dalla sua parte: bombardamenti indiscriminati sui civili, decimazione della popolazione nemica nei territori che controlla. Potrebbe anche rendere sempre più evanescenti i confini fisici della guerra, aumentando in Europa l’uso dell’energia come arma di distruzione economica; moltiplicando gli attacchi on-line; mestare e interferire nelle elezioni dei paesi occidentali.
E l’arma nucleare. E’ apparentemente impensabile che Putin ne possa fare uso, nemmeno dell’atomica tattica di minore potenza: sarebbe un’ammissione di sconfitta. Anche i cinesi e altri amici o alleati minori lo abbandonerebbero. Ma nessuno ora può scommettere sulla tenuta mentale di Putin.
Tutto questo basta e avanza perché una forma politica di pacifismo interessato, insista sulla massima ciceroniana: meglio una pace iniqua. In realtà all’illustre romano tolto di mezzo da Cesare, interessava più il concetto di bellum iustum, di guerra giusta per avallare l’espansionismo imperiale della repubblica, che di pace ingiusta.
Cedere alla minaccia putiniana di usare la bomba, costringendo gli ucraini a riconoscere ciò che il Cremlino vuole, sarebbe la più efficace promozione della proliferazione nucleare. Come ha già fatto il Nord coreano Kim Jong-un, qualsiasi satrapo del mondo si farebbe un piccolo arsenale per ottenere ciò che vuole dal paese vicino.
I sostenitori della pace in Ucraina, invocata senza spiegare come realisticamente raggiungerla, credono che tutti gli altri siano dei guerrafondai: che amino la guerra, giusta o meno che sia; che odino la Russia e la sua cultura, come sostiene la propaganda di Putin: Dostoevsky, Tolstoy, Mayakovsky, Gogol, Rimsky Korsakov, Tchaikovsky, Nureyev, Sakharov. Tutti. E’ difficile odiare un paese così, nonostante Vladimir Putin.
In realtà coloro che credono a una pace raggiunta anche con le armi e fondata su realismo e giustizia contemporaneamente, temono come tutti cosa porterà l’escalation del conflitto ucraino. Ma dopo aver seguito comportamento e decisioni del leader russo in questi mesi di guerra e almeno da un decennio, è difficile pensare che possa esistere una reale possibilità di pace – cioè di compromesso – con questo Vladimir Putin.
Il Sole 24 Ore online 10/10/22