Quando Cina e Unione Sovietica avevano gli stessi regimi illiberali e condividevano anche un’ideologia, quella marx-leninista, Mao Zedong sosteneva che Stalin era come un ravanello: rosso fuori ma bianco dentro. Passati gli anni ’50 del secolo scorso, carichi di solidarietà socialista e lotta all’imperialismo, i rapporti fra i due paesi rimasero incerti, con una breve ma sanguinosa guerra lungo il fiume Ussuri, nel 1969.
Solo nel maggio del 1989 la “Cortina di bambù” cadde con la visita di Mikhail Gorbaciov a Pechino. Ma al mondo sfuggì l’importanza di quel vertice: piazza Tienanmen si stava riempiendo di migliaia di giovani che per esprimere il loro anelito di libertà e riforme, gridavano il nome del leader sovietico. E’ noto come sarebbero poi finiti sia i giovani che Gorbaciov.
E’ piuttosto naturale pensare che nel titanico scontro fra democrazia e autoritarismo, la Russia di Vladimir Putin e la Cina di Xi Jinping si stiano mobilitando per creare una barriera comune contro lOccidente occidentale (Usa, Nato Eu) e l’Occidente orientale (le democrazie d’Asia e Oceania, dall’India all’Australia). Soprattutto ora, che l’aggressione russa all’Ucraina ha reso più teso il confronto. Gli Stati Uniti e la Nato hanno buttato la Russia fra le braccia della Cina, è il commento più diffuso. La suggestione è attraente.
Putin è stato l’ospite d’onore alle Olimpiadi di Pechino e tutti avranno notato che prima di aggredire l’Ucraina, il russo abbia avuto cura che i giochi cinesi finissero senza distrazioni, in un tripudio di fuochi d’artificio e inni alla pace. Poi, appena scattate l’assalto a Kiev e le sanzioni internazionali, la Cina ha tolto le sue restrizioni doganali all’importazione del grano russo. E nel vertice cinese nessuno fino ad ora ha catalogato alla voce “aggressione” l’intervento russo.
Scontato poi il parallelo tra la normalizzazione russa dell’Ucraina con la sempre possibile conquista cinese di Taiwan. “E’ l’occasione migliore per riprendercela!”, stanno scrivendo in questi giorni molti nazionalisti su Weibo, il Twitter cinese.
E’ tutto possibile: con la sua brutalità, Putin ha abbattuto steccati e tabù che pensavamo avrebbero resistito al tempo e alle provocazioni. Il suo è un precedente per tutti gli autoritarismi. Ed è evidente che nel confronto con gli Stati Uniti per il predominio asiatico – una sfida che prevedibilmente caratterizzerà tutto questo secolo – a Xi faccia piacere che l’America dedichi tempo ed energie a una crisi lontana dalla Cina. Probabilmente gli fa piacere che anche la Russia ci sia dentro fino al collo.
Perché oltre alla similitudine fra sistemi politici (ma non di credo ideologico) e alla concorrenza con gli Usa, Cina e Russia hanno in comune anche più di 4mila chilometri di frontiera. Due paesi così tanto a ridosso l’uno dell’altro hanno molte cose in comune ma sempre qualcuna di più per litigare. Le hanno perfino due alleati di ferro come Canada e Stati Uniti, nonostante il primo non abbia alcuna ambizione di rubare la scena internazionale al secondo.
Fra la Cina di Xi e la Russia di Putin è difficile stabilire quale sia la più ambiziosa. Tuttavia è statisticamente provato quale sia la più forte: Pil, demografia, produzione industriale, consumi, esportazione, dinamismo sociale, tecnologia. Sono solo alcune delle voci del vantaggio cinese. Per i commerci e le attività industriali che le abitano, chi visitasse le regioni della Siberia orientale a ridosso della frontiera con la Cina, faticherebbe a credere di essere ancora in territorio russo.
Per carattere personale, ambizione e nazionalismo, Putin non fatica ad allearsi con la Bielorussia, la Transnistria o l’Armenia. Ma è difficile che si senta a suo agio in un’associazione della quale sarebbe la parte più debole.
“La Cina segue da vicino gli sviluppi della situazione (in Ucraina, n.d.r.). Ciò che vedete oggi non è quello che speravamo di vedere. Ci auguriamo che tutte le parti tornino al dialogo e al negoziato”, ha comunicato il ministero degli Esteri di Pechino. Ancora più asettico – o ambiguo – è stato Wang Yi, il ministro: “La Cina rispetta la sovranità di tutti i paesi e la loro integrità territoriale”. Anche dell’Ucraina della quale Pechino è il primo partner commerciale.
Amici si, dunque: anche disposti a sfidare col grano le sanzioni occidentali. Ma alleati in un’asse di ferro è quanto meno prematuro. Anche se in questi anni Xi ha trasformato la Cina un protagonista asiatico inusualmente aggressivo e minaccioso, la raccomandazione di Deng Xiaoping alla cautela rimane una massima della presenza cinese nel mondo.
Non interferire negli affari interni degli altri paesi è la regola che le ha permesso di penetrare economicamente in tutti i paesi africani, senza chiedere ai loro regimi di rispettare democrazia e diritti umani. Quando Pechino afferma che “le sanzioni non risolvono i problemi”, più che una forma di solidarietà con Mosca, è auto-difesa preventiva: sa che un giorno potrebbero essere imposte anche alla Cina.
Pubblicato il 25/2 sul Sole 24 Ore online, nella sezione 24+