(Foto The Guardian). “The darkest hour” dell’Europa, ha detto giovedì Josep Borrell, il responsabile della politica estera e difesa della Ue, annunciando con Ursula von der Leyen le sanzioni alla Russia. L’ora più buia è un voluto riferimento a Winston Churchill quando, nell’estate del 1940, rimase solo ad affrontare la Germania nazista.
Paralleli fra Hitler e Vladmir Putin, fra la guerra in Ucraina e quella d’allora, sono prematuri. Ma una differenza esiste. Il premier britannico rimase a lungo solo; l’aiuto che Franklin Roosevelt avrebbe voluto offrire era condizionato dal rifiuto della classe politica e dell’opinione pubblica americane di essere coinvolte in un altro conflitto europeo. Sull’Ucraina esiste invece nella comunità democratica globale una unione di vedute e – per ora – d’impegno, senza precedenti.
Di fronte all’aggressione di Vladimir Putin, Stati Uniti ed Europa, Nato e Ue sono così uniti come non si vedeva dagli anni della Guerra Fredda. Allora l’Unione Sovietica era un avversario chiaro e visibile. Essendo un’alternativa ideologica, economica e sociale ai nostri sistemi – e con una forza militare capace di raggiungere i suoi scopi – era un nemico perfetto: costringeva l’Occidente a definire se stesso, le sue difese, i suoi scopi, la sua crescita economica. Finita l’Urss, nel suo solitario ruolo di potenza in un mondo senza avversari, l’America ha perso la capacità di definire se stessa e guidare gli alleati. La leggerezza di Clinton, le ambizioni neo-imperiali di George W. Bush, la scarsa visione globale di Obama, il disastro di Trump, le incertezze di Biden nello stabilire cosa debba essere l’America, e dove.
In un certo senso Putin ha ripetuto quel miracolo garantito dai sovietici. Ha dato forza al suo nemico. Il suo obiettivo era sfruttare le debolezze e le divisioni fra America ed Europa, dentro la Nato e dentro la Ue. E’ molto probabile che sia stato questo a spingerlo ad una sfida così pericolosa come l’Ucraina. Quattro anni di amministrazione Trump; poi Joe Biden che dopo aver annunciato “America is back”, si è ritirato dall’Afghanistan male e senza consultarsi con gli alleati europei che stavano condividendo quel conflitto. Poi ancora la riluttante Germania, gli interessi di imprese e banche europee, le tentazioni autoritarie ungheresi; la profonda divisione nel riconoscere la minaccia russa fra i paesi Ue geograficamente più distanti e quelli più vicini che ne avevano conosciuto la brutalità.
Tutto questo è d’improvviso scomparso. Per convincere gli europei delle minacciose intenzioni di Putin, a dicembre l’amministrazione Biden aveva dovuto esibire immagini e informazioni della sua intelligence. Ora è l’Europa ad annunciare per prima le sue sanzioni economiche.
Quanto durerà? Dipende ancora da Vladimir Putin. Se la “smilitarizzazione” dell’Ucraina (come l’ha annunciata lui) sarà conclusa in pochi giorni e senza bagni di sangue, il fronte occidentale potrebbe scricchiolare: qualche repubblicano vicino a Trump, qualche premier della Ue, alcuni imprenditori e banchieri europei e una parte dell’opinione pubblica, potrebbero constatare che, in fondo, l’Ucraina non è così importante per l’Occidente quanto lo è per Putin. Se invece Kiev resisterà per settimane e la battaglia continuerà, il problema della tenuta politica necessaria per sostenere il confronto, riguarderà il presidente russo, a Mosca.
L’ora per l’Europa rimane intanto la più buia dai tempi di Winston Churchill. E tutti ci chiediamo se tutto questo non sia colpa della Nato che si è avvicinata troppo alla Russia. Nel 1919 francesi e inglesi imposero a Versailles una pace umiliante per la Germania: i tedeschi persero l’opportunità di dare forza a una democrazia appena nascente. Questo aiuta a spiegare perché poi arrivò Hitler, ma non a giustificare quello che fece. Con le dovute differenze, l’Occidente non ha aiutato come doveva la debole democrazia cleptocratica di Boris Eltsin, negli anni Novanta. Anche questo aiuta a spiegare perché esiste Putin, ma non può essere una giustificazione per ciò che il presidente russo sta facendo in Ucraina.
Ieri a Bruxelles, alla conferenza stampa del segretario generale della Nato Jens Stoltenberg, la corrispondente dell’agenzia russa Interfax ha chiesto se l’Alleanza avrebbe formato una nuova coalizione “per fermare Hitler”. “Putin”, si è subito corretta. Il lapsus era evidentemente freudiano.