La Russia è sempre stata un impero al di sopra delle sue possibilità: era la sua sconfinata geografia a farne una potenza naturale, non l’economia e la demografia stagnanti, l’arretratezza sociale, l’incapacità di fare riforme e rigenerare la sua forza. La prerogativa dei suoi eserciti era il numero e la resistenza dei soldati, non la qualità delle armi e la professionalità. Vladimir Putin ha rimodernato arsenali nucleari e convenzionali, ha dato alla Russia un benessere costruito sull’industria energetica (ma solo su quella). Tuttavia resta al comando di una potenza dalle ambizioni più da XIX che da XXI secolo.
Il suo discorso alla nazione e al mondo è una conferma plastica di quanto sia uno statista antiquato. Questo non lo rende meno pericoloso. Al contrario: la sua visione strategica e gli obiettivi da XIX secolo ne fanno un leader molto più pericoloso. Prima ha preteso di trattare il futuro del’Ucraina solo con gli Stati Uniti, poi ha cercato di dividere gli europei; poi ha costruito una narrativa nella quale non esiste una nazione ucraina ma solo la benevolente Grande Madre Russia. “L’Ucraina non ha mai avuto una tradizione di genuina statualità”, ha detto Putin nel suo discorso al Cremlino. La sua versione moderna è solo “una creazione” russa.
Per oltre un mese Putin ha giocato con la diplomazia, mentre scatenava gli antichi parafernalia russi dei tempi di zar e del Pcus: maskirovka, disinformatzia, agenti provocatori, l’accusa agli avversari di scatenare un “genocidio” contro la minoranza russa, mentre il suo esercito circondava l’Ucraina da tre lati.
Nella Russia del XIX secolo di Vladimir Putin è previsto che da vent’anni al comando ci sia un solo capo, spalleggiato da pochi altri uomini dalla discutibile personalità: ex agenti del Kgb come lui, che a lui devono tutto. Diversamente dalle confindustrie dei paesi occidentali, gli oligarchi russi non hanno alcun potere di condizionamento: quello che possiedono non lo devono a un sistema, ma solo a Putin.
Prima del suo surreale discorso, le tv russe avevano trasmesso l’incontro ancor più surreale, del capo con il suo Consiglio per la sicurezza nazionale. Si doveva far credere che Putin avesse una squadra con cui decidere se riconoscere l’indipendenza delle provincie ucraine ribelli. I partecipanti al “dibattito”, tenuto in una lingua di legno sovietica, erano a una distanza siderale da Putin: più di quanto richiedesse la pandemia e più della tradizionale formalità della Russia in tutte le sue manifestazioni pubbliche. La scenografia doveva rappresentare fedelmente il potere di uno su tutti.
Nemmeno in Cina è così. Xi Jinping sta cercando di essere confermato per un terzo mandato presidenziale, alla fine di quest’anno: probabilmente ci riuscirà ma sarà una lotta difficile con un partito diffidente. A Mosca no: a meno di una nuova Rivoluzione d’Ottobre, Vladimir Putin che diversamente da Xi non ha nemmeno un partito cui rispondere, continuerà a decidere le sorti della Russia fino a che vivrà. E quando finirà, questo grande paese avrà perso altri decenni prima della resurrezione civile che merita.
Perfino nell’Unione Sovietica c’era più collegialità nella gestione del potere. Nella sua ultima versione del 1989/90, il sinedrio era composto da 19 membri effettivi e 16 supplenti. A dispetto del “centralismo democratico” comunista, cioè dell’autorità unica del partito, il Politburo era un centro decisionale collettivo. Nel 1984, constatato che l’Urss era allo stremo economico, Jurij Andropov raccomandò che si scegliesse l’uomo di una nuova generazione, Mikhail Gorbaciov. Il sinedrio scelse invece il settuagenario Konstantin Chernenko, quasi morente.
Vent’anni di potere ininterrotto e crescente non rendono più saggio un leader, rischiano di creare miraggi. La gestione della crisi, il discorso al Cremlino che dimostra quanto Putin voglia tutta l’Ucraina – non solo la sua esclusione dalla Nato – sollevano il legittimo sospetto che il presidente russo sia andato oltre.
C’è una sindrome della quale sono vittime tutti gli uomini del passato e del presente che hanno governato la Russia: il peso della Storia. Essendo il loro impero sempre stato al di sopra delle sue forze effettive, per zar, segretari generali del Pcus e Vladimir Putin, il passato ha sempre contato più del presente. Il primo ha sempre modellato il secondo, come se quel grande paese non avesse la capacità di pensare a un futuro normale. Il discorso di Vladimir Putin, durato quasi un’ora, ha dimostrato quanto pericolosa sia la storia quando si tenta di resuscitarla.