“Se ripeti una falsità abbastanza spesso, la gente vi crederà e anche tu stesso finirai col crederci”, scriveva un famoso falsificatore tedesco del XX secolo nel suo best seller intitolato “Mein Kampf”. All’ultimo G20 giapponese mi ha fatto un certo effetto – meglio dire che faceva male -vedere Donald Trump e Vladimir Putin, due mistificatori dei nostri tempi, ridere insieme del problema vero delle false notizie.
Durante l’Independence Day, il presidente Trump aveva trasformato la festa degli americani in un’occasione per manifestare un ego smodato. Come è noto, fra i 44 predecessori si ritiene secondo solo a George Washington. Il suo discorso è durato 47 minuti, un tempo più consono alle “Mesas Redondas” di Fidel Castro che a un presidente degli Stati Uniti. Nel discorso forse più importante della storia americana, il “Gettysburg Address”, ad Abraham Lincoln bastarono due minuti e 20 secondi, e 271 parole, per lavorare attorno all’idea “di un governo del popolo, dal popolo, per il popolo”.
Probabilmente per la lunghezza del messaggio, a qualcuno sarà sfuggito che il presidente Trump ha spiegato agli americani come, verso la fine del XVIII secolo, i loro antenati male armati riuscirono a battere la superpotenza britannica di allora: “Presero il controllo degli aeroporti”. Il primo atto di guerra della Rivoluzione americana fu la battaglia di Lexington, 1775; l’ultima Yorktown, 1781. Wilbur e Orville Wright fecero volare il loro biplano nel 1903. Probabilmente quello di Trump non voleva essere il tentativo di cambiare la storia dell’aviazione con una notizia falsa: era solo incompetenza. Ma l’ignoranza di un leader è ancora più pericolosa di una fake news: porta rapidamente all’autoritarismo.
E’ comunque assodato che la falsificazione della realtà sia l’arma preferita e più efficace della riscossa autoritaria. Tuttavia, nell’evoluzione della specie illiberale, siamo arrivati a un punto più sofisticato della semplice balla: siamo al regime autocratico che legifera contro le notizie false per corroborare e legalizzare la bugia come strumento del suo potere. Neanche George Orwell ci era arrivato.
Lo scorso maggio a Singapore, la città-stato nella quale i diritti civili non sono guardati con favore – eccetto la libertà di diventare ricchi – ha approvato una legge contro le fake news. Sarà punito con pene fino a 740mila dollari e 10 anni di reclusione chi fa circolare false notizie che “possono seminare divisioni nella società e minano la fiducia nelle istituzioni”. Fra gli oggetti di reato ci sono anche le “notizie maliziose che danneggiano gli interessi di Singapore”.
La legge, dice Amnesty International, “criminalizza la libertà di parola e concede al governo un potere quasi senza restrizioni di censura del dissenso”. La nuova norma “non fornisce alcuna reale definizione di ciò che è vero o falso né, ancora più preoccupante, cosa sia ingannevole”. Ma nel parlamento dominato dal People’s Action Party al potere, sono bastati due giorni di dibattito per approvare la legge. I capitalisti illiberali di Singapore non sono i primi e non saranno gli ultimi: la festa è solo incominciata.