Nel suo disordine, il quadro internazionale sembra piuttosto chiaro. Esiste e cresce sempre di più un blocco sovranista con una visione e una strategia condivise: minare l’attuale ordine internazionale liberale e sostituirlo con qualcosa d’altro. Chi condivide questo programma è eccitato e convinto di essere a un passo dal successo; chi crede nell’internazionalismo, nel modello multilaterale fondato sulle alleanze e sulle frontiere aperte, è depresso.
Ma è su quel “qualcosa d’altro” che può contare chi, come me, appartiene alla seconda categoria, quella dei cittadini del mondo. Una volta raggiunto l’obiettivo comune, i sovranisti hanno solo ambizioni individuali: vogliono liberarsi dei lacci dei trattati e delle alleanze, per farsi i fatti loro nazionali. E qui, per dire una banalità, casca il sovranista.
Immaginate che Marine Le Pen vinca le prossime presidenziali. Pensate che la sua Francia sarebbe più amica dell’Italia di Matteo Salvini? Che aprirebbe la frontiera di Ventimiglia o Bardonecchia, che ci lascerebbe fare in Libia e che sarebbe felice di sostenere il debito italiano, nella lunga attesa che crolli l’Unione Europea? Probabilmente i nostri sovranisti finirebbero col sentire la mancanza di Macron.
Questa è solo un’ipotesi. Altrove c’è già qualche fatto. Vladimir Putin sta scoprendo che Victor Orbàn non è il suo “agente all’Avana”, la punta avanzata filo-russa dentro Nato e Ue. Anche gli ungheresi hanno espulso un diplomatico russo dopo il caso Skripal, sono d’accordo con Trump che gli europei della Nato debbano spendere di più nella difesa, hanno accolto con entusiasmo Steve Bannon.
Alla fine anche i sovranisti hanno ben presente la loro storia nazionale. E qualsiasi sovranista dell’Est europeo, se può scegliere fra l’America di Trump e la Russia di Putin, preferisce la prima. Al sovranismo americano dell’Est Europa non importa nulla; quello russo è storicamente molto più interessato a condizionare la loro sovranità.
Per tornare all’Italia, Orbàn è contento che Lega e Forza Italia abbiano votato al parlamento europeo contro la messa in mora dell’Ungheria. Ma fino a che lui e gli altri sovranisti dell’Est succhiano come saprofiti le risorse messe loro a disposizione dalla Ue, non saranno contenti che il nuovo governo italiano metta in pericolo la stabilità economica dell’Unione.
“Sebbene la Turchia non sia una superpotenza economica e militare, è emersa come leader globale diventando parte della soluzione in Iraq, Siria e in altri luoghi”, scrive Recep Erdogan su Foreign Affairs. Solo una conferma di una tendenza già nota: la smodata ambizione della Turchia. Quando Erdogan manifesta il suo sovranismo allargato, pensa alla Russia e all’America come partner occasionali allo stesso livello. C’è l’accordo di Sochi con Putin e c’è quello di Manbij con gli americani. Marc Pierini, ex diplomatico della Ue e commentatore di Carnegie, lo definisce “ruolo diplomatico assiale, quello di essere una potenza nel mezzo”. Cioè farsi i fatti propri con stile.
L’esempio più limpido di sovranismo competitivo sono le ambizioni dell’Arabia Saudita. Il principe ereditario Mohammed bin Salman ha detto chiaramente che se l’Iran avrà la bomba atomica, anche Riyadh farà la sua. Preparandosi all’eventualità, MbS vuole che qualcuno gli costruisca 16 centrali nucleari (civili ma il passaggio al militare non è difficile). Donald Trump è pronto a firmare un accordo. Alle opposizioni del Congresso, il presidente risponde che se non le costruiranno gli americani, lo faranno i cinesi.
A questa logica si oppone Bibi Netayahu, sovranista ante litteram, che non vuole altre atomiche in Medio Oriente. Se gli iraniani riprenderanno il loro programma nucleare, spinti dal fallimento degli accordi internazionali silurati da Washington, anche i sauditi avvieranno il loro. Così probabilmente farà l’Egitto, altro simbolo d’illiberalità. E a quel punto gli israeliani renderanno ancora più efficace il loro arsenale.
Eco quello che accade nella comunità sovranista dell’ognuno per se, qualsiasi cosa accada. Se qualcuno sa come fermare il treno, si faccia avanti.