Ottant’anni fa un re piccolo piccolo sia di statura fisica che morale, firmò con uno svolazzo le leggi razziali: forse dopo una bella passeggiata nella sua tenuta estiva e prima di una partita a canasta. Così oltre 47mila cittadini di religione ebraica d’improvviso non furono più italiani. Molti avevano combattuto sul Carso, alcuni erano anche stati convinti fascisti. Le liste che il governo Mussolini fece di loro, qualche anno dopo sarebbero state utili ai tedeschi per i loro rastrellamenti e la buona riuscita dell’Olocausto.
La ricorrenza ha avuto le sue manifestazioni, ci sono state trasmissioni televisive e radiofoniche. Ma la mia opinione è che alla fine sia stato fatto poco per un evento del nostro passato troppo importante sotto tutti i punti di vista, per costruire il presente e il futuro di questo paese.
Non so se 80 anni segnano l’inizio di un diritto all’oblio. Io penso decisamente di no. Forse perché ho avuto l’onore di conoscere Luisella Ottolenghi Mortara che era la presidentessa del Cedec, il Centro di documentazione ebraica contemporanea di Milano: mi spiegava che raccoglieva e catalogava le prove dell’antisemitismo per impedire che un giorno si dimenticasse. Addirittura che qualcuno potesse negare.
O forse penso si sarebbe dovuto fare di più sull’anniversario delle leggi razziali perché al liceo Carducci di Milano avevo avuto come insegnante il professor Giuseppe Tramarollo: a noi studenti spiegava che quelle norme discriminatorie e la successiva Shoah erano una tragedia fondante dell’Unione europea.
Trent’anni fa pensavo che Luisella Mortara esagerasse quando diceva che qualcuno avrebbe potuto negare l’antisemitismo. Oggi ho capito che aveva ragione. A Chemnitz, una città della Germania orientale, la settimana scorsa non c’è stata solo una manifestazione neo-nazista. Per la prima volta i nostalgici dichiarati si sono uniti ai “nazisti moderati”, se si può dire così: i sostenitori del partito AfD che è in parlamento e che, secondo i sondaggi, è in crescita esponenziale.
Un po’ come la Lega in Italia. Fino a qualche tempo fa non mi sarei permesso di paragonare in qualche modo la Lega ai nazisti. Ora faccio meno fatica perché i suoi dirigenti dovrebbero fare più attenzione alla qualità del consenso che stanno raccogliendo; Matteo Salvini dovrebbe essere meno permissivo sul preoccupante ripetersi di episodi di razzismo.
In questo caso non parliamo di antisemitismo ma di razzismo. In Germania come in Italia e altrove, ad essere presi di mira sono i migranti: gli africani e gli arabi. Ma dove c’è razzismo, prima o poi si torna agli ebrei, all’antisemitismo: la casa madre del razzismo europeo.
Alcuni paesi si sono già portati avanti. La Polonia ha decretato per legge la sua innocenza storica, nonostante fosse e sia ancora il paese più antisemita del mondo. L’odio antisemita ungherese – anche questo un classico d’Europa – si riversa su George Soros, rappresentato come un Suss l’Ebreo della propaganda nazista.
Ottant’anni fa, mentre Vittorio Emanuele III firmava quelle leggi e avallava per pavidità tutte le porcherie del regime, in Danimarca un altro re difendeva gli ebrei e si opponeva ai rastrellamenti. Ciononostante, nella sua fondamentale “Banalità del Male”, Hannah Arendt ricorda che nell’Europa di allora due popoli meritano di essere ricordati come coraggiosamente antisemiti: i danesi e gli italiani. Anzi, in un certo senso prima gli italiani e poi i danesi. “Quello che in Danimarca fu il risultato di una profonda sensibilità politica, di un’innata comprensione dei doveri e delle responsabilità di una nazione che vuole essere veramente indipendente, in Italia fu il prodotto della generale, spontanea umanità di un popolo di antica civiltà”. Fino alla caduta di Mussolini nel 1943, anche molti fascisti ignorarono le leggi razziali.
Forse l’elogio di Hannah Arendt ci ha fatto credere di essere un popolo perfetto. Quante volte in queste settimane abbiamo sentito dire ”gli italiani non sono razzisti”: più si aggredivano i “diversi”, meno eravamo razzisti. Così almeno ce la vendeva Matteo Salvini. Probabilmente anche i sette membri della simpatica famigliola di Partinico che a Ferragosto, mogli e figli compresi, hanno aggredito sei profughi africani, vi diranno di non esserlo: in realtà, se Partinico fosse nel Tennessee non faticheremmo a chiamare suprematista il comportamento di quell’intero gruppo familiare. Ma molti credono che solo l’Olocausto sia razzismo, tutto il resto no: come se questo cancro non avesse mille gradazioni prima di arrivare alla difficile guarigione.
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Allego il commento sulla crisi libica pubblicato sull’edizione cartacea del Sole 24 Ore.