I sondaggi del mese scorso sullo ius soli, con i “no” repentinamente cresciuti e i “si” crollati, sono la fotografia di un paese e un campanello d’allarme elettorale. Come è possibile che la maggioranza degli italiani voglia negare il diritto di cittadinanza a giovani che parlano la nostra lingua meglio del leghista medio, e non commettono strafalcioni come alcuni leader pentastellati?
E’ possibile, più che possibile. La paura dello straniero, dell’islamico, dell’africano, del profugo, del migrante – tutti diventati sinonimi negativi di ”diverso” – si sta diffondendo come un’epidemia. Le centinaia di naufraghi che ogni giorno sbarcano nei nostri porti non sono abbastanza per snaturare il nostro modo di vivere, come molti temono, ma sono più che sufficienti per cambiare le dinamiche elettorali italiane. Se non dall’ “invasione dei migranti”, da dove altro dovrebbe venire il crescente consenso politico per Matteo Salvini? Quando il leader leghista dice “salviamogli la vita e rimandiamoli indietro”, semplificando una questione complessa oltre la sua sintesi, interpreta un sentire molto più vasto delle adunate di Pontida.
Non voglio usare questo post per smentire conservatori e populisti: la maggioranza di chi lo legge sa che in Italia la proporzione fra migranti e indigeni è abbondantemente al di sotto di ogni soglia di sicurezza; e nessuno mette in dubbio l’ammonimento di Tito Boeri, secondo il quale senza i contributi degli immigrati, fra trent’anni l’Inps non avrà più i soldi per pagare le pensioni.
Qui invece vorrei cercare di capire gli effetti della grande paura: il futuro elettorale e dunque governativo del nostro paese, la credibilità internazionale dell’Italia e perché amici europei ci hanno abbandonati. Il punto di partenza non è denunciare il torto dei populisti ma ammettere che hanno ragione: nel senso che se un numero crescente d’italiani crede a loro, vuol dire che alla fine hanno ragione.
E’ ignorando gli umori dell’elettorato che negli Stati Uniti ha vinto Donald Trump. Per anni i democratici si sono occupati di tutte le categorie più svantaggiate: neri, latinos, donne, gay, minoranze religiose ed etniche. Con Barack Obama sono aumentati i diritti, l’America ha assunto un volto più civile. Ma alla fine ha vinto la maggioranza bianca che era stata ignorata, istintivamente conservatrice, profondamente cristiana, anti abortista e sostenitrice della lobby delle armi. Proporzionalmente c’è più disoccupazione nella comunità afro americana, ma in numeri assoluti i blue collars bianchi senza lavoro e con diritto di voto sono molti di più.
E’ un’esigenza elettorale (si vota ad autunno) che ha spinto il governo non populista austriaco a inventarsi la bufala dei blindati e dell’esercito alla frontiera del Brennero. Ed è per una promessa elettorale che Macron non ha aperto i porti francesi. Criticandolo, noi italiani volutamente dimentichiamo che la Francia, la Germania o la Gran Bretagna ospitano da generazioni più immigrati di quanti ne avremmo noi anche dopo altri cinque anni di sbarchi agli attuali livelli.
Qualche purista della sinistra più attiva, delle Ong e delle organizzazioni cattoliche, potrebbe obiettare che i valori morali e il dovere dell’accoglienza sono molto più importanti del desiderio mondano di vincere un’elezione. Sono d’accordo. Ma cosa faremo con Salvini ministro degli Interni o Di Maio agli Esteri?
Papa Francesco fa il suo fondamentale mestiere quando dice che l’accoglienza non deve aver limiti. Il lavoro di un governo che è idealmente d’accordo con Francesco, è di affrontare l’histoire événementielle di un fenomeno così enorme e complesso come quello delle migrazioni. In assenza della migliore soluzione, possibile solo lavorandoci per qualche decennio, il mestiere di un esecutivo è disincentivare i giovani africani dall’intraprendere il loro pericoloso viaggio. L’apertura dei porti francesi avrebbe avuto l’effetto contrario: a migliaia l’avrebbero presa come l’opportunità di arrivare direttamente in Francia, saltando gli ostacoli dei centri di riconoscimento in Sicilia, della risalita dell’Italia e del blocco di Ventimiglia.
Come Macron, anche noi dobbiamo costringerci a capire che nell’attesa di un lontano decollo economico africano, bisogna trovare la strada per evitare di favorire le partenze. Anche a costo di limitare il coraggioso lavoro delle Ong. Ma riaprendo contemporaneamente i canali di una migrazione legale della quale non possiamo fare a meno, come ci ricorda Boeri.
Il primo sacco occidentale (e arabo) compiuto in Africa fu lo schiavismo. Poi, tra la fine del XIX e la prima metà del XX secolo, le potenze coloniali europee depredarono il continente delle sue ricchezze naturali. Il terzo sacco è questa ondata migratoria che sta privando l’Africa sub-sahariana della generazione di donne e uomini che dovrebbe liberare i loro paesi dalla povertà e dalla corruzione. Il problema è questo: trovare la formula per salvare vite e contemporaneamente salvare l’Africa.