Quando c’è stato il massacro degli innocenti di Manchester ero nel mondo arabo, sull’altra sponda del Grande Mare (definizione dello storico David Abulafia). Ero a Sfax, in Tunisia, invitato a tenere una “keynote” sul mio mestiere a un gruppo di studenti di quattro università di quel paese, che avevano appena concluso un master in giornalismo.
Ho parlato a loro la mattina, poche ore dopo l’attentato di Manchester. Sapevo che a causa di quella tragedia era aumentato il numero degli europei che detestano i musulmani e gli arabi più in generale. In fondo è ciò che vogliono i terroristi dell’Isis: approfondire e rendere invalicabile quel solco culturale, religioso, politico che sappiamo tutti esistere ma col quale è più che possibile convivere. Tra l’altro, ero recidivo: a marzo ero stato ad Algeri, a parlare ad altri studenti arabi di giornalismo, ospite dell’ateneo di quella città e dell’ambasciata d’Italia.
Per qualche istante ho pensato di essere nel posto sbagliato, il giorno sbagliato. Era stata Unimed a invitarmi a Sfax, a parlare a studenti arabi musulmani: meglio, a giovani colleghi. L’Unione delle Università del Mediterraneo, creata in tempi non sospetti da Franco Rizzi, un magnifico visionario morto a febbraio, presieduta da un marocchino e ora quotidianamente diretta da Marcello Scalisi, un siciliano pratico, ha creato un network di 88 atenei in 21 paesi.
Il corso chiamato “e-MEDia” era organizzato con l’aiuto della Iulm di Milano, dell’Università finlandese di Tampere, di quella di Barcellona, dei quattro atenei tunisini, e con il contributo dei fondi europei. I giovani arabi che vi hanno partecipato hanno potuto svolgere una parte dei corsi da noi, nel Vecchio Continente. Difficile immaginare qualcosa di più detestabile per Salvini, Meloni e tutti i sovranisti europei: la Ue, la globalizzazione, arabi in viaggio a casa nostra…
Il sospetto di essere nel posto sbagliato, il giorno sbagliato, è stato solo un fugace pensiero. Ero invece dove e quando bisognava esserci. Io col mio fugace contributo e tutti gli altri con una dedizione di anni, stavamo aprendo porte e finestre. Nel giorno in cui, comprensibilmente, altri europei e americani si aggiungevano a coloro che vogliono elevare muraglie, arruolare flotte armate per cauterizzare la sponda Sud del Mediterraneo, espellere i diversi.
Nessuno fra chi ha partecipato all’incontro di Sfax sottovaluta il terrorismo islamico, il rischio di destabilizzazione politica insito nelle migrazioni, la necessità di bilanciare l’aspetto umanitario del problema con la sua gestione e con l’equilibrio dei numeri. Nemmeno Tuomo Melasuo, professore emerito dell’Università di Tampere (ho scoperto che in ugrofinnico si dice Tàmpere) lo minimizza. Neanche io.
Ma tutti eravamo convinti a Sfax che l’Unione delle università mediterranee è un modo concreto di affrontare il problema che tanto angoscia Salvini, Meloni e tutti gli altri. Forse anche i cinquestelle. Un tentativo di offrire soluzioni, sapendo che se ce ne sono di soluzioni, funzioneranno nel tempo, da una generazione a un’altra. Franco Rizzi che insegnava a Roma Tre, lo aveva capito già più di vent’anni fa.
Allego gli articoli usciti in questi giorni sul Sole 24 Ore, per l’Istituto di studi di politica internazionale ISPI e per l’Istituto di Affari Internazionali, Iai.