Nel secondo dibattito a St. Louis, il candidato Donald Trump aveva fatto una dichiarazione che allora sembrò curiosa: “Non mi piace Assad ma sta uccidendo l’Isis. La Russia sta uccidendo l’Isis. E l’Iran sta uccidendo l’Isis. E questi tre si sono messi insieme a causa della nostra debole politica estera”. Ora che è il presidente eletto, quella semplificazione non molto vicina alla realtà sembra l’annuncio di un progetto politico.
E’ credibile un cambio così radicale di alleanze? Non esistono prove ma da ieri bisogna pensare fuori dagli schemi conosciuti. E’ su questo – un nuovo presidente con una visione del mondo ancora grezza ma diversa dalle regole del gioco fin qui giocato – che la nuova amministrazione costruirà il futuro della superpotenza americana. Se c’è una cosa che può consolare lo stupore di accademici e di un esercito di giornalisti (compreso lo scrivente) che hanno presentato Donald Trump con toni caricaturali, è che questo smarrimento sia condiviso dai capi di stato, di governo e dai ministri di ogni angolo del mondo. I soldati americani e i loro generali dalle Filippine all’Afghanistan, le milizie alleate e nemiche di ogni guerra civile, gli ambasciatori e i negoziatori: è come se tutti si fossero d’improvviso fermati, prevedendo ordini diversi da quelli impartiti fino a ieri. La paura è che Donald Trump sia come i promotori dell’uscita della Gran Bretagna dall’Europa: che non avesse previsto cosa fare nel caso di una improbabile vittoria.
Tutti smarriti tranne che a Mosca, l’unico luogo al mondo dove l’indice di Borsa sia salito subito dopo il risultato elettorale americano. Anche i leader di partiti e movimenti politici populisti europei hanno gioito: Trump è iscritto d’ufficio e per merito al plotone diventato ormai brigata, composto dai fautori di Brexit, Marine Le Pen, Recep Erdogan, Abdel Fattah al Sisi. Ma nessuno è stato esplicito quanto Vladimir Putin. Non è fantasioso sospettare che la prima visita presidenziale all’estero possa essere a Mosca, anche se Trump dovrebbe convincere prima di tutto il suo partito: la vecchia guardia repubblicana della quale ora il presidente non può fare a meno, si è fatta le ossa nella Guerra fredda, è ideologicamente ostile alla Russia.
E’ difficile che gli Stati Uniti di Trump possano migliorare le relazioni anche all’Iran: se le dichiarazioni elettorali hanno qualche fondo di verità, Trump pensa che l’unico modo per impedire la nuclearizzazione iraniana non sia la diplomazia ma i bombardamenti. Tuttavia nel mondo di oggi senza cortine di ferro, le alleanze sono mobili e spesso asimmetriche: non è più del tutto vero che il nemico dell’amico sia per forza un amico. Donald Trump può abbracciare Putin senza adottarne tutti gli amici. Rafforzando sempre di più le relazioni con la Russia, a Israele non importa con chi lei stia combattendo in Siria. Gli israeliano non hanno intenzione di sostituire Mosca con Washington ma in questo mondo così multipolare, investire su un eventuale futuro diverso è un’opportunità.
Contando come uniche tracce sulle dichiarazioni elettorali di Trump sul ruolo americano nel mondo, la lista dei cambiamento possibili è rivoluzionaria: cancellare il Nafta, ripudiare l’accordo di Parigi sul clima dando il via libera al carbone della Pennsylvania e al petrolio dell’Alaska, declassare gli alleati della Nato, avviare una guerra commerciale con la Cina (Xi Jinping è stato l’unico a non telefonare a Trump per le felicitazioni). Nessun accenno alla Ue ma averla ignorata vale più di un giudizio.
Tutti gli imperi prima o poi finiscono. Quello americano sta affrontando il lento mutamento degli equilibri mondiali, una crescente dimensione multipolare, il caos geopolitico, la crescita inarrestabile cinese e le ambizioni russe. Per Pil, potere militare e sistema di alleanze, gli Stati Uniti possono continuare a essere i primi fra i pari per tutto questo secolo. Ma nell’arena internazionale è raro che gli interessi e i valori di una potenza moderna come l’America possano raggiungere un perfetto equilibrio: un tentativo va tuttavia sempre coltivato, come ha fatto Barack Obama, tentando di privilegiare i valori e dando all’uso della deterrenza militare una definizione nuova. Per quello che si è potuto capire nella sua campagna urlata, Donald Trump si vorrebbe occupare solo degli interessi. Non è così che si comporta un impero dal quale alleati e clientes si attendono continuità e rispetto degli accordi: da un presidente al suo successore. Dopo la morte di Marco Aurelio nel 180 avanti Cristo, Roma continuò a governare il mondo per altri 300 anni. Ma con la scelta del mediocre Commodo come successore, la decadenza dell’impero diventò inarrestabile.