Neanche il World Economic Forum ha saputo resistere alla tentazione e ha chiamato il suo Giovane Blogger Egiziano. Non c’è festival, assemblea, convegno, raduno, cena conviviale dall’Atlantico agli Urali che non inviti un blogger arabo, necessariamente giovane, possibilmente egiziano, eventualmente tunisino e/o libico. Meglio se donna. Qui, sulla costa giordana del Mar Morto, al WEF dedicato al Medio Oriente, è venuta Yasmin Galal (vedi foto).
Yasmin è una tostissima ragazza di piazza Tahrir, subito annessa da Klaus Shwab, il padre del Forum centrale di Davos e di tutti quelli regionali in giro per il mondo. E’ stata nominata co-presidentessa del meeting sul Mar Morto e “Global Shaper” del WEF. Anche io vi ho partecipato come “Media Leader” ma più per gli anni passati da giornalista del XX secolo che da fresco blogger di Slow News. Questo tuttavia non c’entra con la nostra storia.
Yasmin è venuta e con molta educazione ha detto al migliaio di imprenditori, banchieri, specialisti, studiosi e analisti americani, europei e arabi che non hanno capito niente del Medio Oriente; che gli obiettivi dei loro affari quaggiù sono opachi; che gli affari li hanno fatti sempre tra di loro, ignorando l’esistenza di milioni di “community leaders”. Esattamente quei giovani che ad un certo punto si sono stufati e hanno scatenato le Primavere. Le statistiche sono più precise e concordano sul loro numero: 85 milioni di ragazzi mediorientali che da oggi e per i prossimi 10 anni entreranno nel mercato del lavoro.
Era piuttosto ipocrita questa rincorsa della realtà. Negli anni passati il World Economic Forum mediorientale veniva spesso organizzato a Sharm el-Sheikh, a due passi dalla villa di Hosni Mubarak. A volte anche lui si concedeva al Forum. Ospiti fissi erano il figlio Gamal e tutti gli uomini d’affari della sua corte ora in galera o fuggiti all’estero: i “tecnocrati” che effettivamente avevano garantito all’Egitto una notevole crescita economica i cui benefici finivano nelle tasche di pochi, impoverendo tutti gli altri. Come in Tunisia e ancor più in Libia. Loro lo sapevano ma venivano a parlare di modernità e democrazia economica. Al WEF lo sapevano ma apprezzavano “i dati macroeconomici”. Noi lo sapevamo e facevamo stupide interviste.
Ne ricordo una mia al ministro dell’Industria Rashid. Domanda: sembra che non riusciate a distribuire i benefici delle riforme economiche alla maggioranza più povera del Paese. Risposta: non è vero. Obiezione del giornalista: nessuna. A rileggere quell’intervista mi sento complice. Dovrei strappare dalla mia divise le mostrine da “Media Leader”.
Il tema del primo Word Economic Forum dopo il terremoto delle Primavere è stato riabilitativo: “Meeting speciale su crescita e creazione di lavoro nel mondo arabo”. Non puoi avere una vera crescita economica che non risolva il problema della massiccia disoccupazione. Il WEF che fingeva di non capire e ora non bara più, non è che lo specchio del comportamento di tutto l’Occidente di fronte a ciò che sta accadendo in Medio Oriente. Ora si parla di Piano Marshall per i Paesi della Primavera: soldi e progetti per quelli che non hanno petrolio, solo progetti per chi ce l’ha. La cosa interessante è che questo Piano lo dovrebbero fare soprattutto gli arabi con un aiuto occidentale minimo. “I nostri problemi fiscali rendono limitato il nostro supporto finanziario alle Primavere”, ammetteva Robert Hormats, sottosegretario americano all’Economia.
Un sondaggio Gallup rivela che gli arabi preferiscono essere aiutati dagli arabi. Sauditi, Emirati, Qatar e tutti gli altri sono pronti a fare il loro dovere. Il problema è se lo faranno per promuovere le riforme democratiche o per guidare le Primavere verso soluzioni più adatte ai loro interessi. Il giovane re Abdullah di Giordania (senza petrolio), per esempio, sta facendo una serie di riforme importanti per evitare che anche il suo Paese esploda: meno potere ai potentati tribali e alle polizie segrete, più democrazia e libere elezioni. Il progetto dell’Arabia Saudita che queste riforme le teme, è di invitare la povera Giordania nel ricco Consiglio di Cooperazione del Golfo: la Giordania mette il suo esercito, il più professionale del mondo arabo; re ed emiri finanziano e aprono i loro mercati ai disoccupati giordani. E’ probabile che il giovane Abdullah prima o poi riceva qualche telefonata dal Golfo, riguardo alle sue riforme. Morale della storia: da qualsiasi parte vengano, i soldi hanno sempre lo stesso colore.