Risoluzione Onu, illusioni e speranze

Il meno internazionalista dei presidenti americani della storia contemporanea, ottiene il più internazionale dei riconoscimenti possibili. Il Consiglio di Sicurezza, il sinedrio dell’Onu, ha approvato e dunque fatto suo, il piano di pace per Gaza di Donald Trump: 13 si, nessun contrario e due astenuti, Cina e Russia, che non potevano opporsi a una decisione condivisa da tutti. In fondo anche da loro.

Dei 20 punti del così detto “Piano Trump”, non c’era molto di fisicamente realizzato nella striscia. Il cessate ill fuoco a Gaza è incerto, spesso violato; gli aiuti umanitari alla popolazione palestinese sono ancora insufficienti; Hamas non ha nessuna intenzione di disarmare e Israele nessuna di procedere a ulteriori ritiri; la ricostruzione di Gaza un’impresa troppo titanica per pensare a quando inizierà, ancor meno a una fine; l’ipotesi di uno stato palestinese un pio desiderio. Presente e futuro erano rinchiusi in un limbo.

Sostanzialmente è lì che resta. L’approvazione della risoluzione numero 2803, un’ennesima del Consiglio di Sicurezza sul più antico e irrisolvibile dei conflitti, non cambia dal giorno alla notte la realtà sul campo. Un portavoce del segretario generale Onu, Antonio Guterres, ha sintetizzato limiti e qualità di ciò che è stato raggiunto al Palazzo di Vetro di New York: “E’ un passo importante nel consolidamento del cessate il fuoco”.

Tuttavia la risoluzione offre uno sguardo anche sul futuro. Prima di tutto perché, appunto, l’avvenire di Gaza e perfino la soluzione della questione palestinese, sono un’impegno dell’intera comunità internazionale. Cina e Russia non hanno votato a favore perché non potevano riconoscere un successo americano: ma dal 1947 pochi paesi al mondo sono stati tanto favorevoli quanto loro alla causa palestinese.

Come proponevano i venti punti originali, l’Onu – alla quale Donald Trump è particolarmente ostile – ribadisce che una “forza transnazionale” avrà il compito di disarmare Hamas e riportare l’ordine necessario perché nella striscia possa iniziare la ricostruzione. Contemporaneamente entrerà in funzione un sistema di governance chiamato “Board of Peace” presieduto dallo stesso Trump. Rimarrà in carica fino al 2027. Anche nella migliore delle ipotesi, due anni saranno appena sufficienti per cominciare ma la risoluzione Onu non specifica chi, quale organizzazione ne prenderà il posto. Tuttavia la quotidianità di quel consiglio d’amministrazione della pace verrà amministrata da una specie di governo composto da palestinesi rigorosamente tecnocrati e apolitici: non Hamas né Autorità nazionale palestinese, cioè Fatah. I primi hanno respinto l’ipotesi, pretendendo di avere un ruolo; i secondi caldamente appoggiata, riconoscendo che l’Autorità di Ramallah ha bisogno di forti riforme.

Sarà anche formata una forza di polizia palestinese. E’ probabile che il compito di addestrarla verrà affidato ai nostri Carabinieri. Rispetto al piano originale di Trump, c’è ora più spazio per immaginare una futura Palestina indipendente. Ma in qualche modo la risoluzione Onu impone una tutela internazionale alla causa nazionale palestinese. E’ una prerogativa ora necessaria: senza quella tutela il sogno svanirebbe di nuovo. Ma al tempo stesso è il lato debole del piano.

Nel giugno 1967 il Consiglio di Sicurezza approvò la risoluzione 242 che richiedeva il ritiro di Israele dai territori appena conquistati. Una seconda, la 335, ribadì la richiesta dopo la guerra del Kippur del 1973. Il numero della risoluzione appena approvata – 2803 – testimonia del tempo passato ma sul campo non è cambiato nulla: con i nuovi insediamenti progettati, Israele non solo continua ad occupare i territori palestinesi ma allarga la sua presenza.

Il pericolo è dunque che, richiedendo tempo, anche questa risoluzione non porti a risultati concreti. L’ostacolo più immediato è il rifiuto di Hamas di farsi da parte: quale re, emiro, presidente o premier musulmano o meno, rischierà la vita dei suoi soldati, aderendo alla “forza transnazionale”, fino a che gli estremisti palestinesi armati controlleranno la striscia?

L’ostacolo più a lungo termine è Israele. L’entusiasmo di Benjamin Netanyahu per la risoluzione 2803 è forzato: come cinesi e russi non potevano dire si a Trump, il premier israeliano non poteva dire di no. Per lui uno stato palestinese non dovrà mai nascere: su questo è d’accordo anche la maggioranza degli israeliani, compresi molti di coloro che vorrebbero cacciare Netanyahu e il suo governo di estremisti.

Nel 1991, dopo la liberazione del Kuwait, George Bush padre e il suo segretario di Stato James Baker costrinsero il premier Yitzhak Shamir – anche lui del Likud come Netanyahu – a partecipare a un nuovo processo di pace. Qualche tempo dopo Shamir avrebbe ammesso di averlo fatto solo per guadagnare tempo. Anche Netanyahu lo sta facendo. Come la lontana 242 del Consiglio di Sicurezza; come le 131 dell’Assemblea Generale Onu, dedicate solo al conflitto israelo-palestinese, anche la 2803 è a rischio inutilità.

  • habsb |

    sig. Carl

    lo ripeto e chissà che stavolta il dr. Tramballi non eserciterà la censura.

    Non vi sarà mai una pace stabile in Palestina, finché non verrà chiarito senza ombra di ogni dubbio chi è che finanzia Hamas

  • carl |

    Su Wikipedia ha riletto la storia (dal 1948 in poi) della striscia di Gaza. Mentre allo stato delle cose vaIe sopratutto la seguente considerazione contenuta nel’articolo e cioè:
    “L’ostacolo più immediato è il rifiuto di Hamas di farsi da parte: quale re, emiro, presidente o premier musulmano o meno, rischierà la vita dei suoi soldati, aderendo alla “forza transnazionale”, fino a che gli estremisti palestinesi armati controlleranno la striscia? Lo stesso argomento vale per i “caschi blu” che, dall’ultimo fante fino ai loro comandanti, sono sempre stati assai poco propensi a rischiare di morire qua e là nel mondo al servizio dell’ONU, che oltretutto è sempre meno politicamente e supranazionalmente riconosciuta..
    Personalmente ho già accennato in un precedente commento che forse soltanto un ricorso politico alla pratica agricola del “land grabbing” potrebbe rappresentara la soluzione più fattibile per dare un territorio non conteso allo Stato palestinese. E un possibile candidato disponibile a fornire (in affitto) il territorio in questione potrebbe essere l’Egitto e/o, eventualmente, altre nazioni circostanti.
    Infine, ritengo che la creazione di uno Stato “ex nihilo” sarebbe possibile soltanto ricorrendo ad una pianificazione e gestione centralizzata di tutte le strutture, servizi, ecc. che caratterizzano un’entità statale.
    “Larga è la foglia, stretta è la via, dite la vostra che ho detto la mia…”.

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