Quale Palestina

Uno Stato palestinese. Bene, ma quale stato; dove esattamente, se in Cisgiordania 450mila coloni israeliani possiedono la vita dei 2 milioni e748mila palestinesi; con quale capitale se gli ebrei sono il 57% degli abitanti di Gerusalemme e 220mila di loro (altri coloni) occupano parti della città considerata araba dal diritto internazionale; e, anche ignorando che nel 1980 Israele aveva unilateralmente annesso Gerusalemme, quando dovrebbe nascere questo stato fantasma?

E’ una mossa strategica che impedirà la creazione di uno stato palestinese: una risposta sionista, securitaria e nazionale, una chiara decisione sul futuro della nazione”. E’ spiegandola così che a maggio Israel Katz aveva annunciato 22 nuovi insediamenti ebraici nei territori occupati. Con lui c’era il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich.

Katz, alla Difesa, è l’ideatore del “villaggio umanitario”, il ghetto di Gaza nel quale il governo Netanyahu vuole rinchiudere 600mila palestinesi, affamandoli. Smotrich intende annettere la striscia, se necessario anche sacrificando gli ostaggi israeliani nelle mani di Hamas. “Prossimo passo sovranità!”, aveva dichiarato all’annuncio delle 22 colonie, rubando un vecchio slogan di successo della Nasa: “Next step Mars!”

E’ questa la realtà contro la quale si scontra la volontà sempre più universale di riconoscere lo stato palestinese: a favore di una proclamazione sono quattro dei cinque membri del Consiglio di sicurezza Onu (gli americani contro) e 143 dei 193 stati membri. Ma, a parte Israele e paesi para-fascisti come l’Ungheria, anche la maggioranza di chi si astiene o si oppone non è contro il riconoscimento: ritiene solo che farlo ora sia prematuro o controproducente. Per esempio l’Italia.

Forse un boicottaggio politico generalizzato, ancor più sanzioni economiche contro Israele, avrebbero un effetto immediato e concreto. Ma sembra che i governi occidentali non ne siano capaci, schiacciati dal macigno della Storia. Anche se a farne le spese sono i palestinesi che non portano alcuna responsabilità su Olocausto né antisemitismo.

Tuttavia il boicottaggio che non fanno i governi è attuato dalle opinioni pubbliche occidentali: università, associazioni professionali, centri di ricerca, periodi sabbatici annullati, luoghi di vacanza chiusi. Se non lo Stato, gli israeliani sono già sotto sanzioni, isolati dal mondo al quale sentono di appartenere. Ma il governo Netanyahu persegue nel massacro di Gaza, ignorando il prezzo che sta pagando anche il suo paese.

Nella loro ostinazione, Hamas e il premier israeliano sono molto simili nella conservazione del loro potere piuttosto che nella difesa degli interessi dei loro concittadini. Anche i paesi della Lega Araba e della comunità islamica hanno ribadito il sostegno alla Palestina e imposto ad Hamas di arrendersi all’Autorità di Ramallah che con l’aiuto internazionale dovrebbe governare Gaza.

E’ la stessa proposta egiziana già fallita l’anno scorso: ai terroristi del movimento islamico non ha mai importato governare la striscia, non l’hanno mai fatto. E’ alle armi che non intendono rinunciare per combattere la loro sanguinosa jihad. Come gli estremisti nazional-religiosi del governo Netanyahu che non fermano la guerra perché, sostiene il quotidiano Yediho Ahronot, l’obiettivo è una pulizia etnica che l’estremismo di Hamas giustifica e in qualche modo alimenta.

Ha dunque senso la proclamazione di uno stato che non può nascere? E che tuttavia a settembre, all’assemblea generale Onu, ruberà perfino la scena all’Ucraina? Vladimir Putin e Xi Jinping saranno più filo-palestinesi degli stessi palestinesi pur di far dimenticare il conflitto in Europa. Forse si, un’utilità c’è: aumenterà l’isolamento d’Israele e la sua società civile non potrà più ignorarlo; darà più forza al cauto ma crescente numero d’israeliani che incominciano a protestare contro una guerra senza senso e dall’insostenibile immoralità.

In questo coro ormai mondiale d’iniziative a favore di uno stato palestinese manca chi quello stato dovrebbe governare: l’Autorità di Ramallah. Nello specifico il presidente Mahmud Abbas: nom de guerre Abu Mazen, sebbene non sia mai stato un combattente ma sempre un burocrate.

Quello che sta accadendo nel mondo è una grande occasione per la Palestina, forse l’ultima se riuscirà a concretizzarsi. Il suo leader dovrebbe visitare ogni capitale del mondo, incontrare i potenti della Terra per dare consistenza politica alla solidarietà che sta conquistando la causa palestinese. Ma non accade nulla, come se riformare il sistema, rinnovandolo negli uomini e nelle idee, non fosse un obbligo impellente.

Come condizione del suo riconoscimento, il Canada ha espressamente chiesto queste riforme. Tuttavia Abbas non risponde: come fece nel 2014, quando Barack Obama e il suo segretario di Stato John Kerry gli avanzarono l’ultima proposta di pace senza mai ottenere un riscontro. Abu Mazen va per i 90. Al mondo solo Paul Biya del Camerun, 97 anni, è il leader in carica più vecchio di lui. Stagnazione e mediocrità sono quelli di sempre, come se attorno alla Palestina non stesse accadendo nulla.

  • carl |

    Che dire..? E, sopratutto , serve a qualcosa..? L’incidenza della “libertà di pensiero ed espressione” (esista o meno, o soltanto in parte e comunque relativamente) piaccia o meno a chi signoreggia, suole prendere comunque forma, sia soggettivamente che collettivamente (ad es. all’interno della cosiddetta opinione pubblica..) con effetti ed incidenza molto, ma molto minori del cosiddetto “boycott”, ma comunque in qualche misura (e sempre soggettivamente) percepibili.
    Per quanto riguarda l’espressione “peso della storia”, essa esiste, sia per il fenomeno del “colonialismo”, sia per il trattamento di cui sono stati oggetto gli ebrei, sopratutto da parte della Germania nazista ma anche dall’Italia fascista, la Francia di Vichy ed altri ed eventuali.. Ragion per cui, “in primis” nella Germania attuale se ne tiene conto in qualche misura e, in un modo o in un altro, si curano le apparenze..
    Ho letto che per la rifondazione dello Stato ebraico fu presa in considerazione anche sia uno Stato continentale africano che l’isola di Madagascar.. Ed è probabile che, all’epoca, non pochi ebrei sopravvissuti avrebbero trovato accettabile l’idea.. E, allo stato delle cose e delle prospettive, i gazaoui sopravvissuti (o non pochi di essi)che penserebbero di un progetto analogo, magari basato su di una forma politica equivalente alla prassi del cosiddetto”land grabbing”?

  • Franco Mimmi |

    Guarda che ti sbagli, Ugo: i governi occidentali non sono per niente schiacciati dal macigno della Storia, a loro l’Olocausto interessa solo come scusa per farne un altro. i governi occidentali sono schiacciati da bassi calcoli di schieramento, di vassallaggio, e insomma di potere politico e ovviamente economico, il macigno è quello che cade sulla testa dei più deboli, come sempre.

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