“Disconnessa dalla realtà”, sosteneva il ministero degli Esteri israeliano. La risposta era alla lettera contro la continuazione della guerra a Gaza, firmata da 29 ministri degli Esteri: la prima, vera, seria, collettiva protesta perché si ponga fine al conflitto.
Chi sembra dissociarsi dal mondo reale nel quale Israele è sempre più isolato, sembrano piuttosto essere il ministero, il governo e l’intero paese che in molti casi gioisce, spesso nega, a volte ignora o finge di non sapere, ma raramente si ribella per ciò che accade a Gaza. Disconnessi dalla realtà sarebbero i 29 paesi firmatari della lettera: gli europei eccetto i tedeschi, più Canada, Giappone, Australia e Nuova Zelanda. Cioè l’internazionale democratica in un mondo sempre più illiberale, che non può essere accusata di essere anti-israeliana, non avendo fatto alcun passo risoluto dopo 22 mesi di orrore a Gaza.
Disconnesse sarebbero anche le oltre cento agenzie internazionali, da Save the Children a Medici Senza Frontiere, che ieri hanno firmato un’altro documento per denunciare “l’inedia di massa” voluta da Israele, usando cibo e acqua come armi d’assedio. La risposta: gli aiuti ci sono ma le agenzie internazionali non lo distribuiscono. Una bugia. Israele fa di peggio. Sono 136 i paesi che aderisco all’accordo per non riscuotere dazi sull’importazione di beni per scopi umanitari: i vicini dell’Ucraina o del Sudan non li esigono. Il governo di Gerusalemme si, costringendo le agenzie ad acquistare in Israele, a prezzi molto più alti.
Cosa sta accadendo in questo paese? Il paese nel quale il ministro della Difesa, Israel Katz, propone di chiudere 600mila gazawi in una “città umanitaria” dalla quale gli abitanti non possono uscire nell’attesa della deportazione. E’ la lingua di “1984” di George Orwell, che dava alla guerra il nome di pace e alla persecuzione quello di libertà. Katz da’ al Ghetto di Gaza il nome di città umanitaria. Dal punto di vista dei tedeschi anche il Ghetto di Varsavia doveva avere quella funzione, nell’attesa di decidere cosa fare dei suoi abitanti affamati.
Nessuno dei 29 paesi firmatari né del centinaio di agenzie ha mai ignorato l’aggressione di Hamas, il 7 ottobre 2023. Nessuno nasconde la brutalità terroristica di quel movimento. Ma dopo 22 mesi niente può giustificare il massacro che Israele compie a Gaza. Quando i russi bombardano, i civili ucraini si riparano nel sottosuolo e i loro soldati restano su a combattere. A Gaza è il contrario: ma cosa dovremmo aspettarci da un’organizzazione radicale islamica, designata come terroristica; e cosa da un paese che pretende di essere una democrazia?
Quelli di Hamas sono terroristi, è evidente. Ma come chiamare Orit Strock, la ministra israeliana per la Missione Nazionale (un altro esempio di lingua orwelliana). Strock sostiene che per annettere Gaza gli ostaggi israeliani sono sacrificabili. Secondo lei questi 22 mesi di guerra sono “tempi di miracoli”: accelerano la promessa divina della Grande Israele, Gaza e Cisgiordania comprese. Il messianismo ebraico non è minoritario: governa, è nei livelli più alti delle forze armate.
I’isolamento d’Israele in Europa è ormai un fatto. Non lo era negli Usa: non nell’opinione pubblica né fra le comunità ebraiche. Ciò che è buono per Israele è buono per gli ebrei ma questo consenso “che per generazioni ha tenuto insieme gli ebrei d’America, si sta rompendo”, commentava Ezra Klein, editorialista del New York Times, molto ascoltato dai giovani. A novembre nella città più abitata dagli ebrei dopo Tel Aviv, contro le indicazioni di Netanyahu è possibile che diventi sindaco il candidato democratico Zohran Mandani, musulmano di origini indiane. Il voto ebraico sarà determinante.
Secondo l’Istituto israeliano per la sicurezza nazionale, Inss, ormai solo il 54% degli americani ha un’opinione positiva d’Israele, il dato più basso dal 2000. Scomposto politicamente, a favore d’Israele sono l’83% dei repubblicani, il 48 degli elettori indipendenti, il 33 dei democratici. Fra questi il 59% dichiara una “grande simpatia” per i palestinesi.
Israele ha un’economia da 550 miliardi di dollari. Nei primi 21 mesi di guerra la Borsa è cresciuta del 40%, del 20 quelle del resto del mondo nello stesso periodo. Non è la democrazia che pretende di essere ma del Medio Oriente è l’unico membro Ocse. Le sue forze armate non hanno paralleli nella regione. Che in pericolo sia la sicurezza d’Israele e non l’esistenza dei palestinesi, è francamente difficile da sostenere.