Il pretesto druso

A rigor d logica Israele dovrebbe avere tutto l’interesse nella stabilità della Siria, cercando di aiutare il nuovo regime nella difficile impresa di lasciarsi alle spalle 15 anni di guerra civile. Perfino Donald Trump ha cercato di dare una mano.

Il bombardamento nel cuore di Damasco, a due passi dall’inestimabile bellezza della città murata, non può essere scambiato per un tentativo di mediazione nel complesso mosaico settario siriano; né vuole dimostrare che il destino della minoranza drusa sia importante per Israele.

Quell’attacco è stata una dimostrazione di arroganza: sicurezza d’Israele ad ogni costo, anche quando il modo in cui viene perseguita è invece un investimento su un futuro insicuro. Amichai Chikli, ministro israeliano per la lotta all’antisemitismo che curiosamente intrattiene rapporti amichevoli con molti partiti antisemiti dell’Est Europa, aveva anche proposto di uccidere il presidente siriano. Quello che all’orizzonte sta maturando è piuttosto un pericoloso confronto fra Turchia e Israele.

Credere che la salvezza dei drusi sia il casus belli di ciò che è accaduto, è come sostenere che il rapimento di Elena sia stata la ragione della guerra di Troia. In Israele i drusi sono l’unica minoranza che veste la divisa dell’Idf. Ma anche nell’Armée libanese ci sono molti soldati e ufficiali drusi, come prima della guerra civile è sempre stato anche nell’esercito siriano.

Non tutti i drusi vogliono che Israele intervenga a loro favore. Il Consiglio militare guidato dallo sceicco Hikmat al Hijri, lo vuole: questa fazione sostiene lo scontro fra Israele e Damasco, nella speranza di essere annessi dallo stato ebraico o di conquistare una forte autonomia protetta da Israele. Il movimento “Uomini con dignità” e altri gruppi favoriscono invece il dialogo con il governo di Mohammed al-Sharaa, e si oppongono alle interferenze israeliane.

La questione originale è, dunque, la sicurezza d’Israele. Anche a Gerusalemme ci sono due scuole di pensiero: quella (militari, intelligence, analisti) convinta che una Siria stabile serva a questo obiettivo, e dunque occorre dare tempo ad al-Sharaa; e quella del governo per il quale al-Sharaa è invece una minaccia. Netanyahu è convinto che, come Hamas a Gaza, l’islamismo sunnita al potere in Siria non possa che ambire alla distruzione d’Israele.

A dicembre, quando il regime di Bashar Assad si era dissolto in pochi giorni, gli israeliani occuparono immediatamente alcune zone della Siria a ridosso della loro frontiera. Furono bombardati molti siti militari del vecchio regime, sostenendo che fosse una precauzione: non sapendo nelle mani di chi quelle armi sarebbero finite. Da allora ad oggi a Damasco si è formato un governo che ha ripreso le relazioni diplomatiche con Stati Uniti ed Europa. Con le cautele del caso, la comunità internazionale ha riconosciuto gli sforzi di al-Sharaa.

Ma i bombardamenti israeliani sono continuati anche sulle basi del nuovo regime, nonostante Damasco avesse mandato ripetuti segnali di dialogo. Anche l’occupazione territoriale è sembrata sempre meno una precauzione a tempo determinato, ma qualcosa di definitivo: una zona cuscinetto all’ombra delle alture del Golan, annesse da Israele ma – va ricordato – territorio occupato per il diritto internazionale.

La lunga guerra di Gaza, la rapida vittoria su Hezbollah libanese e la devastante precisione dei bombardamenti sull’Iran, hanno rafforzato la convinzione che Israele sia la potenza egemone del Levante mediorientale. Ma più a Nord c’è un’altra potenza che si crede dominante nella regione: la Turchia di Recep Erdogan, non a torto convinta che il cambio di regime a Damasco sia stata una sua vittoria.

I rapporti fra Turchia e Israele sono ai minimi termini. Fra i membri Nato, quello turco è l’unico governo che ha imposto sanzioni a Israele per la sua guerra a Gaza. “Possa Allah distruggere Israele sionista” ha recentemente invocato Erdogan. Ankara e Damasco stanno discutendo un patto difensivo che allargherebbe l’influenza turca dal Nord, già militarmente presidiato, al resto del paese. Si pensa che lo scopo dei bombardamenti israeliani sulle basi delle forze di sicurezza siriane sia impedire che vengano occupate dall’aviazione turca. In Siria entrambi i paesi possiedono sfere d’influenza più o meno informali e controllano zone cuscinetto a ridosso delle loro frontiere. La rotta di collisione sembra segnata.

  • carl |

    Anche stavolta ha scelto un tema meritevole di attenzione all’interno delle notizie che quotidianamente compaiono, distraggono per poi scomparire senza lasciare traccia…
    Ma esordirei con una battuta tra il serio ed il faceto sul Trump (e ci aggiungerei anche il Nethayahu).. Parafrasando la nota battuta social-politica “Comprereste un auto, e non usata bensì nuova di fabbrica, da un personaggio del genere.. :o)?”. Eppure dal Trump l’Italia nostra (ed altri Paesi) sta per comprare alcune decine di costosissimi F35..
    Quanto a drusi e Siria. L’approccio e gli eventuali rapporti saranno/sarebbero del tutto strumentali e cioè nulla a che vedere con il rispetto che sarebbe dovuto a chiunque, ,individuo o nazione che fosse.
    Infine una considerazione sugli eventi siriani (ove “in pochi giorni, il regime di Assad si dissolse…”) e cioè che nessuno di coloro che hanno satelliti ad alta definizione che 24 ore su 24 controllano la superficie terrestre, fiatò sugli evidenti preparativi di invasione.. E se lo Stato ebraico aveva interesse ed emulare le 3 scimmiette, viene da chiedersi perchè anche gli “altri osservatori” non abbiano fiatato..?

  • Fabio Della Pergola |

    Un concetto-base in questo articolo: la sicurezza di Israele che dovrebbe aumentare con la stabilizzazione della Siria e del suo governo di ex-Isis supportato da Erdogan. Sulla base di questa premessa si definisce l’appoggio ai drusi di Hikmat al Hijri un pretesto per colpire, che a sua volta si rivelerebbe “un investimento su un futuro insicuro”.
    Ma finita l’influenza iraniana sull’asse della resistenza che non ha certo dato segni di pacifica convivenza con Israele, sembra palese che la Turchia ne abbia preso il posto con intenzioni potenzialmente similari: sfruttare l’irrisolta – e non solo per responsabilità di Israele, come ricordava Sari Nusseibeh pochi giorni fa sul Corriere – questione palestinese per mettersi a capo della ormai secolare opposizione islamica all’esistenza stessa di Israele. La citata preghiera di Erdogan perché Israele sparisca non è diversa dalla pretesa di Hamas e degli ayatollah a che l’Islam ponga lo stesso “nel nulla”.
    Non è chiaro quindi il motivo per cui la stabilizzazione della Siria (cioè la stabilizzazione di basi avanzate turche fino ai confini dello stato ebraico) sarebbe vantaggioso per Israele. Solo perché “Damasco ha mandato ripetuti segnali di dialogo”? Non è un po’ troppo poco? Io almeno non lo capisco dalle argomentazioni di questo articolo.

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