Con un lancio di razzi, un paio di giorni fa Hamas aveva festeggiato, a suo modo e in anticipo, l’inizio dell’undicesimo mese di guerra a Gaza. L’effetto militare è stato nullo, quello strategico enorme: dopo una ripetitiva quotidianità di morti, distruzioni, bombardamenti a tappeto; con migliaia di civili affamati e sull’orlo della denutrizione, il movimento islamico palestinese è ancora in grado di lanciare razzi.
Passati dieci mesi, la guerra d’Israele a Gaza assomiglia sempre più a un disastro strategico. Non è stato raggiunto alcuno dei risultati pretesi da Benjamin Netanyahu, e con più cautela perseguiti dai vertici delle forze armate israeliane. Lo stato ebraico non è in grado di sradicare Hamas dalla striscia di Gaza. Se domani fosse raggiunta una tregua a lungo termine (l’ipotesi sembra impossibile), gli stessi terroristi che avevano iniziato la guerra, sarebbero determinanti per la lunga ricostruzione: posto si possano trovare paesi e finanziatori arabi e occidentali intenzionati a realizzarla all’ombra di Hamas.
Prima della guerra iniziata il 7 ottobre, il consenso della popolazione di Gaza era molto basso. Ma già alcuni mesi fa, il Palestinian Center for Policy and Suvey Research del professor Khalil Shikaki, aveva notato un cambiamento: nel dicembre 2023, due mesi dopo l’inizio della guerra, solo il 36% dei gazawi era favorevole ad Hamas; tre mesi di bombardamenti e insensate stragi israeliane più tardi, il consenso era salito al 50%.
E’ cresciuto nel mondo anche l’isolamento d’Israele per il modo in cui sta conducendo la guerra. L’unica arma dello stato ebraico, della sua diplomazia e delle comunità che ne sostengono i comportamenti, è l’accusa di antisemitismo usato come una specie di arma di distruzione di massa. Tutti sono antisemiti, soprattutto i sudafricani che hanno promosso l’accusa di genocidio davanti alla Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja. Se esiste un paese nel quale l’antisemitismo non è parte della sua storia, quello è il Sudafrica. Al contrario, forse nessun’altra società al mondo ha conosciuto decenni di persecuzione razziale simile a quella degli ebrei europei.
Una guerra così lunga, così violenta e così senza una via d’uscita militare né diplomatica, non poteva essere cauterizzata e rinchiusa dentro i piccoli confini della striscia. Gli attori non potevano che moltiplicarsi: Hezbollah libanese, gli Houthi yemeniti, l’Iran. E gli Stati Uniti della cui stagione elettorale Bibi Netanyahu sta facendo un uso politico brutale. Anche questa è una prova del disastro militare israeliano: non sapendo vincere da solo, Netanyahu cerca di spingere l’America nel conflitto.
Incapace di prendere dopo dieci mesi di guerra il vero responsabile dei 1.200 morti israeliani del 7 ottobre, il Mossad o chi per lui, ha puntato su un soft target, un obiettivo più facile da raggiungere: anziché lo psicopatico Yahya Sinwar, che continua a dare ordini da un tunnel di Gaza, il moderato Ismail Hanyieh.
Naturalmente il leader politico di Hamas era un moderato rispetto ai canoni comportamentali di un’organizzazione politico-religiosa a vocazione terroristica. Anche lui portava gravi responsabilità nel caos nel quale è immersa la regione.
Ma quanto meglio di lui sono gli israeliani Itamar Ben Gvir e Bezelel Smotrich? Sono importanti ministri del governo Netanyahu, capi di movimenti nazional-religiosi razzisti, assertori della conquista di tutti i territori palestinesi e del suprematismo ebraico: la forma forse più malata di superiorità razziale, data la tragica storia del popolo ebraico.
Mentre a Gaza donne e bambini continuano a morire e l’esercito israeliano è lontano da una vittoria, Smotrich e Ben Gvir stanno cambiando in peggio le leggi del paese, annettendo nuove terre palestinesi in Cisgiordania, costruendo nuovi insediamenti. Lo denuncia l’ultimo rapporto del movimento pacifista israeliano Peace Now https://peacenow.org.il/wp-content/uploads/2024/07/While-We-Were-at-War_The-Government-Annexation-Revolution-in-the-West-Bank-Since-October-7th_Special-Report_Peace-Now_Settlement-Watch_-1.pdf .
Il conflitto di Gaza è il prodotto di uno scontro ormai secolare fra israeliani e palestinesi, della lunga occupazione israeliana e del velleitarismo palestinese. Ora, l’ulteriore aggravante di questa guerra è che al potere, alla guida degli avvenimenti, ci sono degli estremisti: dall’una e dall’altra parte. Implicitamente, per quanto nemici, questi estremisti sono anche alleati. Il vero genio della matria “Potere” è Bibi Netanyahu, disposto a tutto per mantenere il suo che dura da troppo tempo perché il sistema democratico israeliano non subisca seri danni.
Il nemico preferito di Netanyahu era Hamas che si rifiutava di riconoscere Israele, non l’Autorità Palestinese di Ramallah in pace da trent’anni. Ordinando di uccidere il politico Haniyeh, Bibi ha implicitamente favorito il capo dell’ala militare Yahya Sinwar che di Hanyieh era un avversario.
Il capo politico di Hamas volava spesso da Doha dove era in esilio, a Teheran. Anche la scelta dell’occasione per ucciderlo aveva un senso: l’inaugurazione della presidenza iraniana di Masoud Pezeshkian, eletto con un programma moderato. Secondo lui l’Iran non dovrebbe fare una guerra contro Israele ma pensare a risolvere i problemi economici del paese, moderare le politiche religiose, ad aprire il dialogo con l’Occidente.
E’ blasfemia politica per chi, come Netanyahu, ha bisogno di un Iran nemico del mondo; e chi, come ayatollah e Pasdaran, di un Israele nemico della fede. E’ innegabile che l’assassinio di Hanyieh abbia aumentato e possibilità di questi ultimi e ridotto le speranze di cambiamento di Pezeshkian.
Per anni Netanyahu aveva invocato la guerra all’Iran e il coinvolgimento americano. Alle assemblee generali dell’Onu sono rimasti famosi i suoi discorsi sull’imminenza della catastrofe nucleare. I grafici col disegno della bomba atomica iraniana che Bibi mostrava, lasciavano attonita e imbarazzata la platea internazionale.
La grande crisi allargata alla regione ha posto in secondo – forse settimo o ottavo – piano il massacro che continua a Gaza e i programmi di Smotrich e Ben Gvir in Cisgiordania. Scoppierà la grande guerra? A leggere soprattutto la stampa italiana, l’ipotesi è che il conflitto stia per essere mondiale: Occidente e sunniti da una parte; sciiti, Russia e Cina dall’altra, in una grande resa dei conti.
Tuttavia, l’Iran e il suo principale alleato libanese Hezbollah, sanno che Israele ha i mezzi per radere al suolo Teheran e Beirut: quest’ultima già varie volte diroccata negli ultimi 40 anni da Zahal, le forze armate israeliane. Le sofisticate modalità dell’omicidio di Hanieyh hanno anche un valore deterrente riguardo alle illimitate capacità d’Israele.
Ma anche gli israeliani sanno che la capacità distruttiva di iraniani ed Hezbollah sono infinitamente più grandi di quelle di Hamas. La strage di civili compiuta il 7 ottobre verrebbe moltiplicata. Oltre all’arsenale di Teheran, gli sciiti libanesi posseggono circa 150 mila fra razzi e missili.
Fino ad ora queste considerazioni hanno mantenuto il confronto fra Israele, Iran ed Hezbollah all’interno di una parità sul diritto di risposta alla risposta di una risposta: una specie di tauromachia infantile ma molto pericolosa. Soprattutto quando coloro che prendono le decisioni su come e a chi tocchi rispondere, sono degli estremisti: da una parte e dall’altra.
Ugo Tramballi
Articolo pubblicato sul sito dell’Istituto di Studi di Politica Internazionale, ISPI